Siria - Rito ebraico, evento simbolico fra trasformazioni regionali
- 29 set
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Wael Almawla - Per la prima volta da quasi trent’anni, la sinagoga al-Farangi a Damasco ha vissuto una scena senza precedenti: Henry Hamra, fondatore dell’Associazione degli Ebrei in Israele, ha suonato lo shofar annunciando l’inizio delle celebrazioni del Capodanno ebraico e dello Yom Kippur. Un evento simbolico, ma che apre ampiamente la porta a interrogativi che vanno oltre il rito religioso, toccando dimensioni politiche, culturali e regionali più profonde.
La lunga assenza dei riti ebraici pubblici nella capitale siriana è stata lo specchio di una realtà politica tesa, in cui la questione è rimasta legata al conflitto arabo-israeliano e alle complesse posizioni siriane rispetto alla normalizzazione.

In questo senso, il ritorno pubblico di tale rito non può essere separato dalle grandi trasformazioni che attraversano il Medio Oriente, sia nel percorso delle intese regionali sia nella ridefinizione dei rapporti tra le componenti religiose e culturali.
Alcuni vedono in questo evento un segnale di apertura graduale da parte di Damasco, un messaggio verso l’esterno che la nuova Siria intende recuperare la propria immagine di terra di pluralismo religioso e culturale. Altri lo interpretano come un passo calcolato nel quadro di un riposizionamento politico, in cui tali segnali riflettono la disponibilità ad accompagnare i cambiamenti dell’opinione internazionale, soprattutto con il crescente dibattito sui percorsi di normalizzazione araba con Israele.
D’altro canto, vi è chi legge la scena in una dimensione esclusivamente interna, come un tentativo di rivitalizzare la memoria multiforme di Damasco e dimostrare che la società siriana – nonostante la guerra e le divisioni – conserva ancora le sue radici storiche ricche. La sinagoga al-Farangi, che ha testimoniato una presenza ebraica antica in Siria, torna oggi a svolgere un ruolo simbolico nel disegno di una possibile convivenza.
In definitiva, il suono dello shofar a Damasco può sembrare un episodio marginale nella forma, ma è profondo nella sua simbologia. Esso riflette l’intreccio tra religione e politica, memoria e realtà, e solleva una domanda cruciale: la regione si sta avviando verso una nuova fase di ridefinizione delle relazioni tra i suoi popoli e le sue religioni, o si tratta soltanto di un gesto protocollare passeggero in tempi di trasformazioni?







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