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USA e Israele - Segni di crisi?




Maddalena Celano (Assadakah News) - Crisi tra Trump e Netanyahu: la frattura tra alleati e la fine del sionismo impunito?


Mentre il mondo assiste attonito al massacro di Gaza, spesso in silenzio complice o dietro una cortina fumogena di dichiarazioni ipocrite, la notizia di un deterioramento nei rapporti tra Donald Trump e Benjamin Netanyahu rappresenta un segnale significativo nel già instabile equilibrio geopolitico del Medio Oriente. Non si tratta soltanto di divergenze tattiche, ma di una crisi profonda tra due figure simbolo dell’arroganza imperialista e della brutalità colonialista.

Secondo un'inchiesta della NBC News, confermata anche da askanews, la frattura si sarebbe acuita in seguito all’ennesima escalation militare israeliana nella Striscia di Gaza. Trump avrebbe definito “inutili” i raid ordinati da Netanyahu, giudicandoli un ostacolo alla sua presunta strategia di “ricostruzione postbellica”. Al di là delle dichiarazioni ufficiali, l’ex presidente statunitense — noto per il trasferimento dell’ambasciata USA a Gerusalemme e l’endorsement aperto all’espansionismo israeliano — sembra ora cambiare tono. Ma dietro questa frattura non si cela affatto un ravvedimento etico o una reale opposizione alla guerra: piuttosto, è il riflesso di una ridefinizione degli interessi strategici americani nella regione.





Il nuovo volto della guerra: Gaza come ostacolo alla “visione” trumpiana


Il disaccordo sul proseguimento dei bombardamenti israeliani su Gaza evidenzia il nodo centrale di questa tensione. Trump, da abile uomo d’affari, guarda alla “ricostruzione” come a una nuova opportunità per il business americano e per rilanciare la propria immagine di “uomo di pace” in vista delle prossime elezioni. Netanyahu, al contrario, continua imperterrito sulla strada del genocidio, della repressione e dell’annientamento della popolazione palestinese, sperando di rilanciare la propria leadership interna, sempre più traballante.

La posizione di Trump non nasce da empatia verso il popolo palestinese, ma dal calcolo geopolitico: l’instabilità perpetua, a suo avviso, non conviene più. L’immagine dell’“Israele vittima” si sgretola ogni giorno di più sotto il peso delle evidenze documentate da giornalisti, ONG e coraggiosi attivisti, spesso uccisi o incarcerati. Gaza è un crimine a cielo aperto, non più occultabile.


Iran e Yemen: il punto di rottura


Ma il vero spartiacque è la questione iraniana. Netanyahu insiste da anni per un attacco preventivo contro le installazioni nucleari della Repubblica Islamica. Trump, invece, punta a una trattativa che garantisca all’Iran il diritto all’arricchimento dell’uranio entro certi limiti, evitando uno scontro diretto. Per Israele, questo significa una minaccia esistenziale: Tel Aviv non accetta un Medio Oriente multipolare, dove Teheran giochi un ruolo da potenza regionale autonoma.

La decisione di Trump di interrompere la campagna militare contro gli Houthi in Yemen — dopo che questi avevano cessato gli attacchi contro navi statunitensi nel Mar Rosso — ha ulteriormente fatto infuriare Netanyahu, che vede negli Houthi un altro ingranaggio dell’“asse della resistenza” sciita contro l’egemonia israeliana. L'attacco missilistico lanciato dagli Houthi verso Israele, avvenuto poco prima della decisione americana, è stato strumentalizzato dal governo sionista per invocare ancora più militarismo, più repressione, più distruzione.




Israele isolato, ma più pericoloso


L’isolamento crescente di Netanyahu sul piano diplomatico non lo rende meno pericoloso. Anzi, come ogni potenza coloniale in declino, Israele mostra un volto sempre più crudele e disperato. La debolezza diplomatica interna, la crescente opposizione nei campus americani, la mobilitazione globale per il BDS e il crescente disgusto popolare nei confronti dei crimini sionisti stanno mettendo in discussione un paradigma che per decenni ha dominato la narrazione occidentale.

La dichiarazione del portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale americano, James Hewitt, che definisce Trump “il migliore amico che Israele abbia mai avuto”, sa di disperata propaganda. Di fronte alla devastazione di Gaza e alla barbarie quotidiana subita dai palestinesi, non bastano più frasi fatte e retorica securitaria. Il tempo delle bugie è finito.


Il tempo del risveglio antimperialista


Per noi, militanti della solidarietà internazionalista, non basta registrare le fratture tra i padroni della guerra. Dobbiamo cogliere l’occasione per rafforzare la nostra azione militante. La frattura tra Trump e Netanyahu non è frutto di coscienza, ma di interessi contrastanti nel cuore dell’imperialismo nordamericano. E tuttavia essa può e deve essere letta come segnale della crisi di un ordine che crolla.

Il popolo palestinese, vittima da decenni di occupazione, apartheid e pulizia etnica, continua a resistere. In quella resistenza si specchia il futuro dei popoli del mondo. La Palestina è la linea del fronte tra barbarie e civiltà. E se anche gli alleati più stretti cominciano a dividersi, è segno che il castello del colonialismo potrebbe finalmente sgretolarsi.

Il compito dei popoli liberi è rafforzare l’Internazionale Antimperialista e Antisionista, unire le lotte dal Sud Globale fino ai quartieri popolari delle metropoli occidentali, e rilanciare il sogno socialista e bolivariano di una nuova umanità fondata sulla giustizia, sulla libertà e sulla dignità.

Viva la Palestina libera! Viva la Resistenza!

— Maddalena Celano, per Assadakah News

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