Algeria - Cultura, tradizione musicale e strumenti storici
- 13 lug
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Roberto Roggero* - L’Algeria è un Paese che ha una ricchissima tradizione e cultura musicale. Il genere forse più diffuso è il Rai (oggi nel Ptrimonio Intellettuale dell’Unesco, come il Reggae della Jamaica), ma sono anche diffusi generi come Kabyle, Staifi, Chaabi, Haouzi, Chaoui, Sahraoui, Andalusa, Gnawa, Malouf, Gasba, Charki, fino a generi moderni più diffusi come il Jazz, oltre alla musica magrebina, araba, libanese, egiziana e mediorientale.
Gli strumenti che esprimono tali coinvolgenti melodie e ritmica, hanno anch’essi una storia e una cultura particolari, soprattutto per i materiali utilizzati, dal momento che provengono dall’ambiente popolare tradizionale.
Kamancheh
Fra i violini di varia fattura e tipologia, di ispirazione sia araba che europea (per i quali vi è una differente accordatura), il più diffuso è il Kamanjah, o Kamancheh, costruito con una noce di cocco tagliata a metà, foderata con pelle di pecora o di pesce, oggi nella lista Patrimoni Immateriali dell’Unesco. Il suonatore lo tiene in grembo, a gambe incrociate, seduto per terra.

E’ uno strumento molto diffuso nel mondo arabo, si pensa di invenzione persiana, ma usato anche in Armenia, Turchia, Azerbaijan, Kurdistan, che pare derivato inizialmente dalla lira bizantina. Le differenti tonalità dipendono da come il suonatore tende la corda dell’archetto.
Il termine “Kamancheh”, in antico persiano significa archetto, mentre la radice turca è Kemençe (derivato comunque dall’antico persiano). Le versioni persiana e turca differiscono di poco nella forma e nel suono, specie nel tipo realizzato a forma di zucca.
I primi esemplari pare risalgano all’epoca Savafide e Qajar, quando veniva usato molto nei banchetti di corte, ma era usato anche in scene di caccia e guerra dai Mongoli e dalle tribù Timuridi. Fra le rappresentazioni più antiche, quella nel palazzo Chehel Sotoun, a Esfahan, con un suonatore di Kamancheh fra altri musici di corte al cospetto del re, Scià Abbas II, e un dipinto murale in onore di Nader Mohammad Khan emiro del Turkistan nel 1646. Inoltre, una donna che suona il Kamancheh è dipinta anche su una parte del palazzo Hasht Behesh, sempre a Esfahan.

In pratica, il Kamanche ha un lungo manico con tastiera che il fabbricante modella come un cono inverso troncato, per facilitare il movimento dell'archetto quando si muove verso il basso. Il manico ha due pioli su entrambi i lati e la parte terminale del manico. Tradizionalmente il Kamancheh aveva una corda, poi tre corde di seta ma gli strumenti moderni hanno quattro corde di metallo. Può essere artisticamente elaborato con intarsi di avorio in cima al manico, in corrispondenza dei pioli dell'accordatura. La cassa armonica inferiore è a forma di ciotola, solitamente ricoperta da una membrana ricavata dalla pelle di un agnello, capra o qualche volta pesce, su cui è montato il ponticello. Dal basso sporge una punta per sostenere lo strumento. L’accordatura in genere corrisponde a quella attuale di un violino, cioè Sol-Re-La-Mi. Fra i più noti interpreti di Kamancheh, Sayat Nova e Habil Aliyev.
Rubab
Simile e altrettanto diffuso in tutto il Maghreb è il Rabab, o Rubab, strumento a corde sfregate dall'arco, realizzato da un unico pezzo di legno con il corpo di forma stretta e convessa, che in lingua Pashtun si chiama Robab, in Kasmir è il Nastaleeq e in Sindhi è il Devangari, e noto anche in Tagikistan, Uzbekistan.
È uno degli strumenti musicali nazionali dell'Afghanistan e di altre aree abitate da Pashtun e Beluci, suonato anche nel Sindh, dal popolo Kashmir, dai Sikh del Punjab e poi diffuso in tutta l’area afro-mediterranea e nel resto del continente.
Questo strumento a corde è descritto in testi antichi che risalgono al 7° secolo, in poemi Sufi e libri persiani anche nelle sue varianti come il Kabuli Rebab dell'Afghanistan, il Seni Rebab dell'India settentrionale, e il Pamiri Rubab del Tagikistan.

Il nome deriva dall'arabo “rebab” (suonato con l'arco), menre in Asia centrale e nel subcontinente indiano, è pizzicato e diverso nella costruzione. Saper suonare il Rubab, così come saper costruire i suoi elementi, oggi è considerata un’arte dei vecchi maestri, con abilità molto rare, e solo pochi artisti mantengono la tradizione classica.
Noto come “il leone degli strumenti”; il Rubab è diffusissimo in Afghanistan come lo Zerbaghali. Il Rubab è conosciuto come "il leone degli strumenti" ed è uno dei due strumenti nazionali dell'Afghanistan (insieme allo zerbaghali).[3] Questo strumento è sicuramente uno degli elementi chiave della musica classica indoasiatica, mentre in altri Paesi ha un aspetto leggermente diverso dal Rubab indiano. È l'antenato del Sarod dell'India settentrionale, anche se a differenza del Sarod, è di aspetto più corrugato.
Dal 7° secolo quindi, il Rubab è menzionato negli antichi libri persiani e molti poeti sufi ne parlano nelle loro poesie. È lo strumento tradizionale del Grande Khorasan ed è ampiamente utilizzato anche in Pakistan, Iran, Turchia, Iraq, Tagikistan e Uzbekistan, nonché nella provincia dello Xinjiang della Cina nordoccidentale e nelle regioni del Jammu e Kashmir e del Punjab dell'India nordoccidentale. Oggi anche nell’Africa mediterranea, soprattutto in Algeria e Tunisia.
E’ stato il primo strumento utilizzato nel Sikhismo, da Bhai Mardana, compagno del primo guru, Guru Nanak. Ogni volta che una shabad veniva rivelata a Guru Nanak, lui cantava e Bhai Mardana suonava il Rubab.
Fra gli altri strumenti tradizionali, vi è poi il Guesba, un particolare tipo di flauto, che ha dato origine a un vero e proprio genere musicale e di danza, detto anche Tamja. Gashab. Il termine significa letteralmente "canna" in lingua berbera), diffuso in Tunisia, Algeria (tra i Chawi del nord-est dell'Algeria e Orano nel nord-ovest) e in Marocco (nel Rif orientale (Al Hoceima, Driouch, Nador, Berkane), Oujda, Beni Mathar e Bouarfa e dalla confraternita Jilala).
Oud
L’Oud è un altro simbolo della tradizione tunisina, liuto a corde a manico corto con cassa piriforme a tre fori decorati a rosette. E’ uno strumento di origini orientali, come il Kanun (cordofono a 72 corde della tradizione classica araba) e Luth di origine persiana, per le melodie tipiche in stile Rai. L’oud in genere si accompagna al Nay (flauto orientale), Derbouka (percussione) e Bendir (tamburo a cornice), oltre a quelli di origine occidentale. Il termine arabo, nella traslitterazione più corretta ʿUd-Sharqī, propriamente legno.

Il ricercatore storico Abu Ṭalib Al-Mufaḍdal ibn Salma attribuisce allo Oud una storia secolare, che risale alla notte dei tempi, con la leggenda che ne attribisce l'invenzione a Lamech, nipote di Adamo ed Eva, ma storicamente pare che i primi esemplari siano originari della Mesopotamia.
E’ un'evoluzione del Barbat, antico strumento persiano pre-islamico. Nel 9° secolo Ziryab, musicista di Baghdad fonda a Cordova una scuola di musica, aggiungendo una quinta corda allo strumento e la pratica dell'uso di un plettro fatto con la piuma d'oca al posto dell'attrezzo di legno fino a quel momento utilizzato.
Nel 10° secolo, è importato in Europa, dove diventa strumento preferito per la musica di corte. Nel Rinascimento si evolve fino a diventare il moderno liuto. In Medio Oriente, la versione a 11 corde in cinque coppie, è considerata il “Sultano degli strumenti musicali” ed è diffuso in tutto il Maghreb. L’accordatura varia a seconda del Paese di utilizzo (Iran, Iraq, Turchia, Paesi Arani in genere), ad esempio in Turchia è in La-Re-Mi-La-Re-Sol, mentre in Tunisia si usa la sequenza Re-Sol-La-Re-Sol-Do.
Uno dei liutai più conosciuti è Wissam Joubran, diplomato alla “Scuola Antonio Stradivari” di Cremona, e fra i musicisti più noti Dhafer Youssef, Achref Chargui, Farid al-Atrash, Munir Bashir, Rabih Abou Khalil, e Hafid Moussaoui.
Sintir
Noto anche come Guimbrì, Gambrì, Gembrì, Guembrì e Gumbrì, è lo sttumeno tradizionale del genere Gnawa. E’ una sorta di liuto-tamburo a tre corde con due parti principali in legno, come lo Tbola, tamburo grande più uno piccolo, solitamente decorati con l’henné. Si tratta di una musica etnica tipica del Sud del Marocco e del sud-ovest dell'Algeria, che si dice provenga dagli schiavi originari dalla Guinea, che la suonavano in occasione di particolari cerimonie. Il ritmo è ipnotico, capace di indurre lo stato di trance, grazie ai suoni bassi e ritmati, canti ad antifona, battito di mani e percussioni di cembali chiamati Krakeb o Karkabet (grosse nacchere di metallo), e infatti si dice sia utilizzato per evocare forze spirituali capaci di estirpare il male, curare malattie e guarire anche le punture dei micidiali scorpioni del deserto.

Con il passare del tempo, la musica Gnawa ha iniziato a destare interesse anche al di fuori della società tradizionale, fino alla ribalta internazionale. Suonatori Gnawa collaborano con musicisti di fama internazionale quali Bill Laswell, Adam Rudolph e Randy Weston.
Il Sintir è uno strumento a corde pizzicate, della tradizione musicale Gnawa. È diffuso soprattutto nei paesi arabi del Nordafrica, in particolare nel Maghreb, anche nella variante N'goni. Viene suonato dal Maalem, maestro della confraternita, per guidare e accompagnare la trance dei devoti durante i riti notturni chiamati Derdeba o Lila, e per funzioni di tipo terapeutico e religioso al tempo stesso. Ha manico rotondo, decorato con motivi ornamentali policromi e da una cassa di risonanza a forma trapezoidale la cui tavola di risonanza è ricoperta di pelle bovina, e a volte può essere costituito da una corazza di tartaruga. E’ dotato di tre corde (tradizionalmente in cuoio) fissate a piccole staffe di legno leggermente arrotondate che producono uno spettro sonoro a bassa frequenza.
Fra i più conosciuto musicisti vi è l’algerino Idir, è il musicista più conosciuto all'estero, grazie al brano “A vava inouva” (Il mio papà), ninna nanna con parole di Ben Mohamed. Il brano è considerato il primo grande successo venuto dall'Africa settentrionale e rappresenta l'affermazione del ritorno alle radici, un sentimento molto sentito dagli algerini.
Imzad
L'imzad (Amẓad o Umẓad, letteralmente "capelli", "peli") è uno strumento musicale tipico dei Tuareg molto simile a un violino. Nel 2013 è stato inserito nella lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell'Unesco.
Le origini dell'Imzad sono molto antiche, scollegate dall'avvento dell'Islam. Ai tempi di Charles de Foucauld, era considerato un simbolo patriottico e ritenuto di nobili origini. Veniva utilizzato negli ahāl (componimenti d'amore), tanto che la sua esecuzione era sinonimo di espressione di parole piacevoli.
In passato circa la metà delle donne nobili era in grado di suonare questo strumento, mentre in tempi moderni è stato quasi abbandonato e, in alcuni contesti, anche proibito.
La cassa di risonanza è costituita da una semisfera di diametro variabile, sulla quale è tesa e fissata una pelle di capra sommariamente conciata. Può presentare a volte delle decorazioni effettuate con la scrittura Tifinagh. L'Imzad ha una sola corda fatta di crine di cavallo e rivestita di resina, fissata alle estremità del manico con una striscia di pelle. La tensione viene regolata mediante uno "strozzatore" con una cinghia mobile legata all'impugnatura. L'arco usato per suonare è un semicerchio di legno al quale è fissata una corda di crine di cavallo e rivestita di resina.

Bendir, Darabouka e Ney
I primi due sono tamburi a cornice e a forma di calice, tradizionalmente in ceramica o argilla, il Ney, un flauto dritto. In genere sono strumenti accorpati per particolari generi di melodie.
Il Bendir ha la caratteristica di emettere un suono vibrato dato da una o due corde tese trasversalmente a contato con la pelle. Le corde possono essere di budello, tessuto oppure nylon, mentre la membrana impiegata è la pelle di capra. E’ molto usato nei Paesi del Maghreb, dove vengono suonati da più percussionisti danzanti in coreografie tradizionali, cerimonie, festività e matrimoni. E’ ritenuto uno strumento propiziatorio e di buon auspicio in molte culture, per questo motivo spesso sulla pelle superiore vengono disegnati i simboli del proprio credo.
Il Darabouka è un tamburo utilizzato tradizionalmente in Nord Africa, Medio Oriente e Asia centrale, e anche nella musica popolare dei paesi dell'Europa orientale che hanno subito l'influenza dell'Impero ottomano e nella musica tzigana.
E’ formato da un corpo globulare di terracotta sostenuto da un alto piede e aperto sul fondo, con una larga apertura chiusa da una pelle animale, di pesce o capra.
Il nome deriva dalla radice araba “d-r-b”, (battere, picchiare) e ha numerose varianti nei diversi paesi, fra cui Darbuka e Tarambuke.
Il Ney (Nai o Nye) è un flauto caratteristico soprattutto della musica tradizionale colta, oggi diffuso nella musica popolare di diverse zone del Mediterraneo.
La musica suonata con il ney è considerata la prima melodia creata dall'uomo, storicamente nell’antica Persia, come testimoniano incisioni di migliaia di anni.
È uno strumento antichissimo: vi sono raffigurazioni nelle piramidi egizie e alcuni esemplari sono stati trovati negli scavi di Ur, in Iraq, quindi ha almeno 5.000 anni, il che, secondo la leggenda, ne fa il più antico strumento della storia dell’uomo.
Ricavato da una canna svuotata, aperta alle due estremità. Il suono è prodotto dal frangersi della colonna d’aria contro il bordo superiore dello strumento. La canna, che deve avere otto nodi, per essere divisa in nove segmenti, è fatta seccare con procedimenti naturali, sulla quale vengono ricavati sette fori circolari, sei anteriori e uno posteriore, con precisi significati simbolici.
Vi sono diversi tipi di Ney a seconda della lunghezza della canna: i loro nomi derivano dal nome della nota prodotta lasciando aperto il primo foro inferiore. Vi è il Rast, il Nai, Dukah, Busalik, Gaharkah, e altri. Oggi, seppure talvolta con nomi differenti, lo strumento ha una diffusione assai ampia, che va dal bacino del Mediterraneo a tutta l’area balcanica, dalla zona dell’Ucraina fino all’India e allo Yemen.

Tamtam
Tamburo a cornice, parte della musica tradizionale berbera, è spesso realizzato in legno e ricoperto di pelle, solitamente di capra. Esistono anche versioni di Tamtam berberi a doppio tamburo, con due diverse dimensioni di ciotole di ceramica ricoperte di pelle. Il suono berbero è caratteristico e contribuisce a creare ritmi coinvolgenti, spesso utilizzati in danze e canti tradizionali, contesti sociali e rituali, spesso insieme ad altri strumenti tradizionali. In genere sono realizzati a mano, con decorazioni che riflettono la cultura e le tradizioni della comunità.
Atumpan
L'Atumpan è detto tamburo parlante “Asanti”, derivante dalla cultura Ashanti, quindi non tipi co dell’Algeria dove oggi è comunque molto diffuso. Suonati in coppia, questi tamburi forniscono la parte del basso negli ensemble di danza Adowa.
Il corpo dell'Atumpan è fatto di legno, con un interno cavo. Il fondo è aperto per aumentarne la risonanza, e la pelle di animale copre la parte superiore. Ci sono diversi pioli vicino alla parte superiore del corpo del tamburo, a cui sono attaccate corde di tensione. I tamburi parlanti Atumpan, o ‘Ntumpane, sono usati anche dalle tribù Akan del Ghana per comunicare messaggi.

Sabar, Tama e Sistro
Utilizzati generalmente in ensemble, il Sabar è un tamburo otiginario delle tribù Wolof del Senegal, suonato con una mano ed una lunga bacchetta in legno oppure con le sole mani. Ne esistono di sette diversi tipi e con diverse funzioni, fra cui Nder, Lamb, Goros Babas, Mbag, che hanno facoltà di essere sentiti a chilometri di distanza.
Il Tama è un tamburo ascellare a clessidra originario dell'Africa occidentale, usato anche per "parlare" attraverso il linguaggio tonale.
Un braccio sinistro agisce sulle corde che tengono tese le membrane del tamburo, premendole per tenderle o lasciandole per allentarle, modificando così il tono prodotto dallo strumento. I musicisti più abili riescono a produrre modulazioni che ricordano quelle della voce umana, specialmente con riferimento ai linguaggi tonali di alcune zone dell'Africa. Presso alcuni popoli (per esempio i Bulu del Camerun), questa tecnica è stata raffinata al punto che con il tamburo vengono riprodotte vere e proprie frasi e nomi di persona, è questo il motivo da cui deriva il proprio nome.
L'origine del tamburo parlante risale almeno all'Impero del Ghana; è uno strumento tradizionale presso diversi popoli, inclusi gli Hausa e gli Yoruba della Nigeria, i Dagomba del Ghana settentrionale, i Wolof del Senegal. Sono molto usati dai griot, i cantori-sacerdoti dell'Africa occidentale.
Il Sistro è uno strumento antico (3.000 a.C.), simile a un sonaglio, associato al culto di Iside (dove era chiamato Seshesh) ritenuta inventrice dello strumento, e sacro anche alla dea Hathor. E’ a percussione idiofono, caratterizzato da un telaio a forma di U, su cui sono montate asticelle o dischetti che producono un suono tintinnante quando vengono agitati.
Originariamente uno strumento rituale, utilizzato in contesti religiosi e cerimoniali, poi diffuso in altre culture, ha un suono tintinnante, prodotto dallo sfregamento o dall'impatto delle parti mobili. Si credeva che il suono del Sistro avesse il potere di allontanare le forze maligne e, in alcune interpretazioni, il movimento simboleggiava il risveglio e il dinamismo della vita.
(*Direttore responsabile Assadakah News)







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