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Editoriale - USA-Iran: trattativa sul nucleare e ruolo dell’Italia

Roberto Roggero* - Il presidente americano Trump, dopo avere incontrato la premier italiana Giorgia Meloni (in un colloquio sostanzialmente inutile) ha ribadito a gran voce che non tollererà un Iran con armi nucleari. Un privilegio riservato a Stati Uniti e alleati, oltre alle tradizionali potenze, e una linea rossa che non potrà essere oltrepassata, se non a costo di guai veramente preoccupanti per l’intero pianeta, e motivo per cui Trump ha deciso il ritiro americano dall’accordo concluso durante la presidenza di Barak Obama, e pretende trattative senza intermediari con Teheran.

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La situazione cambia di giorno in giorno, soprattutto dopo che la presidenza americana ha fortunatamente bloccato la pericolosissima iniziativa israeliana che prevedeva il bombardamento dei siti nucleari iraniani secondo due progetti: un Piano A, che riguardava un attacco aereo con operazioni rapide di commandos del Mossad contro i laboratori nascosti fra le montagne iraniane, che però necessitava di una messa a punto capillare e avrebbe comportato un ritardo per troppo tempo; e un Piano B che prevedeva una imponente campagna di bombardamenti aerei, a partire dal prossimo maggio, per distruggere l’apparato difensivo e l’intera struttura nucleare iraniana.

Netanyahu aveva portato le proposte a Washinton, confidando nell’approvazione dell’alleato americano e nella fornitura di assistenza tecnica e militare, poi sono subentrati i colloqui di Muscat, in Oman, e all’apertura del dialogo USA-Iran il presidente Trump, in un lampo di lucidità, ha bloccato tutto, mostrando di preferire la diplomazia, a parte le operazioni contro gli Houthi nello Yemen, per le quali sono stati allertati anche i bombardieri strategici Stealth F117 e B2 dalla base di Diego Garcia, nell’Oceano Indiano, e una seconda portaerei (USS-Carl Vinson) con il proprio Gruppo d’Attacco.

I rappresentanti americani e iraniani si sono mobilitati, coinvolgendo anche il Sultanato dell’Oman e l’Italia. Il primo colloquio, a Muscat, è avvenuto in via indiretta, con Steve Witkoff (inviato di Trump) in una stanza, il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi in un’altra, e il governo omanita a fare da tramite.

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Il secondo round dei colloqui è previsto a Roma, ma vige un rigidissimo riserbo, a parte i sentiti ringraziamenti dell’Oman (che rimane comunque mediatore principale) per il governo italiano. Oltre a queste motivazioni, da analizzare e valutare anche il ruolo che l’Italia è riuscita a ritagliarsi, grazie al complesso lavoro della Farnesina.

E’ innegabile comunque la trepida attesa per la ripresa romana dei negoziati, in programma sabato 19 aprile, che entrano in una fase cruciale, come ha confermato anche il direttore generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, Raphael Grossi, il quale ha sottolineato che il nemico il temibile è il tempo a disposizione.

Teheran però non si fida, e non rinuncia all’idea del programma atomico a uso civile, come ha dichiarato la portavoce del governo, Fatemeh Mohajerani: “Fermare il nostro programma nucleare influenzerà gli sforzi diplomatici e potrebbe portare alla loro fine”.

Le autorità della Repubblica Islamica si stanno muovendo in modo molto strategico: il ministro degli Esteri Araghchi, nel frattempo, ha incontrato il presidente russo Vladimir Putin, al quale ha consegnato una lettera della Guida Suprema, Ayatollah Ali Khamenei, sullo sviluppo delle relazioni bilaterali, e ha parlato anche e in particolare del negoziato con gli Stati Uniti.

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A Teheran, invece, la Guida Suprema e il presidente Pezeshkian hanno incontrato il ministro della Difesa saudita, Khalid bin Salman, ricevendo l’invito formale per accogliere re Salman e il principe ereditario Mohammed bin Salman in Iran. Un progresso fondamentale nelle relazioni fra Iran e Arabia Saudita, che può essere utile anche nel negoziato Iran-USA.

Perché è così difficile raggiungere un accordo?

Teheran rifiuta colloqui senza mediazione, sebbene a Muscat sia avvenuto un breve faccia a faccia fra Abbas Araghchi e Steve Witkoff, e sarà così anche a Roma, all’ambasciata del Sultanato dell’Oman. Lo scopo del negoziato è riportare in attività e andare oltre l’accordo raggiunto a Vienna nel 2015 fra Teheran e il Consiglio di Sicurezza ONU più la Germania (P5+1), in uno scenario estremamente complesso, con elementi come il ridimensionamento dei principali alleati regionali di Teheran, Hezbollah in Libano, il nuovo assetto della Siria port-Assad e la guerra a Gaza.

Difficile, ma non impossibile, credere che perfino Netanyahu abbia la reale intenzione di scatenare un conflitto aperto con l’Iran, sperando nel coinvolgimento statunitense, perché se Trump ha assicurato di non volere la guerra con l’Iran, rimane comunque pronto all’attacco contro gli Ayatollah.

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L’idea è comunque di strappare a Teheran un accordo storico, ma estremamente difficile, che possa riaprire il dialogo fra Stati Uniti e Iran dopo anni di tensione.

Appena è stato confermato l’annuncio che il secondo round negoziale si sarebbe svolto sabato 19 aprile a Roma (mentre il vicepresidente americano Vance incontrerà Giorgia Meloni), sono arrivate le prime smentite iraniane poi nuovamente le conferme, ma non è chiaro se tutto questo comporterà un rinnovato ruolo di mediazione per l’Italia, esclusa fin dal 2003 dai primi colloqui, pur avendo la presidenza di turno del Consiglio Europeo. In quella fase, Roma era fra i principali partner commerciali iraniani e voleva evitare tensioni con quello che un tempo era il primo partner commerciale per Teheran in Europa (vedi anche le vicende della giornalista Cecilia Sala e del ricercatore iraniano Mohamed Abedini Najafabadi).

A Roma, i mediatori vorrebbero riproporre uno dei punti chiave dell’intesa del 2015, che permetterebbe a Teheran di continuare il proprio programma nucleare a un livello non superiore al 3,67% e sotto la stretta supervisione dell’AIEA, previa accettazione da parte iraniana di trasferire le riserve di uranio arricchito in Russia. Questo punto viene rifiutato da Teheran, che vorrebbe mantenere in Iran le scorte di uranio, anche in vista di possibili ripensamenti americani rispetto ad un’intesa. I livelli di arricchimento dell’uranio, le ispezioni dell’ONU nei siti nucleari del Paese e le scorte di uranio arricchito restano i nodi centrali per arrivare a una intesa.

(*Direttore responsabile Assadakah News)

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