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La Toscana e il Libano, una lunga storia d’amicizia

È l’incontro di due sovrani moderni. Cosimo II, l’ultimo dei grandi di casa Medici, difende Galileo aprendo alla Scienza moderna e Fahkr-al-Dihn II della dinastia Maanide, che governa la montagna Shouf da oltre un secolo, unisce per una causa comune Drusi e Maroniti inaugurando un clima di tolleranza, lascito simbolico e valoriale a quel Libano che è “molto più di un paese”. E se il primo si inserisce in un solco già ben definito dagli illustri predecessori, Faccardino, così toscanizzato, crea qualcosa di veramente innovativo.



Dopo l’uccisione del padre, Faccardino viene nominato mültazim, usa sorta di esattore, della Montagna drusa nel 1590 dal wali di Damasco. Dal 1605 amplia i suoi domini conquistando Acri, Castel Pellegrino e Cesarea. Mostra insofferenza verso il dominio ottomano e supporta la ribellione di Ali Janbulad (1605-1607) che imperversa nel Nord della Siria. Quando quest’ultimo è sconfitto Faccardino rimane al potere ma solo al prezzo di ingenti elargizioni ai dignitari della corte ottomana.


Secondo Fawwaz Traboulsi nel libro “A History of Modern Lebanon” (2012) la rivolta di Jumbulad è fomentata proprio dal Granducato di Toscana, allora retto da Ferdinando I, padre di Cosimo II, che guarda con sempre maggior interesse al Nord Africa e al Levante come nuovi sbocchi commerciali. La fitta corrispondenza tra Faccardino e Ferdinando I testimonia come il Granducato fosse riuscito a inserirsi con successo nei porti di Beirut, Sidone e Tiro. È l’inizio dell’alleanza tra Faccardino e il Granducato.


I rapporti sono destinati a strutturarsi ulteriormente. Intorno al 1611 l’emiro, attraverso le autorità maronite, tenta di concludere un’alleanza anti-ottomana con lo stesso Granducato e la Santa Sede. La notizia trapela, la Sublime Porta scopre il piano: Faccardino è costretto a una frettolosa fuga che termina nel porto di Livorno. Qui inizia un viaggio destinato a cambiare la storia del Libano. Insieme a Faccardino una compagine di consiglieri e amici eterogenea: drusi, musulmani sunniti, cristiani maroniti ed ebrei.


L’Emiro ripara in Toscana – nel trattato commerciale del 1608 era previsto di accoglierlo in caso di necessità – dove rimane fino al 1618 mentre il regno è retto temporaneamente dal fratello. Se sul piano politico gli effetti del suo soggiorno sono limitati, soprattutto per la diffidenza del Granducato nelle prospettive reali di Faccardino di smarcarsi dalla Sublime Porta, il lascito artistico e culturale è straordinario. L’emiro è folgorato dalla capitale del Rinascimento.



Il diario di viaggio, tenuto da al-Safadi o da Faccardino stesso, trasuda meraviglia. “Fra le opere di tutti i costruttori, l’inclinazione di questa torre è stupefacente – scrive della Torre di Pisa – di quindici piedi e non gli succede mai niente di male”. Mentre su Firenze annota: “Fra le meraviglie della città c’è la vecchia chiesa, che all’esterno è fatta di marmo, con le immagini degli apostoli e dei santi. Ha un minareto quadrato fatto con marmo colorato, e ha una scala che permette di salire fino alla cupola”. Curioso anche il racconto sulla festa per il Carnevale del 1614.


Al suo ritorno gli Ottomani non possono disturbarlo perché distratti dalla continua guerra contro i Safavidi che drena tempo e risorse. Faccardino si espande annettendo territori quali Tripoli e Sidone, due porti preziosi, e la Valle della Beqaa, dove esporterà alcune delle conoscenze apprese nel suo soggiorno in terra toscana. Allertato il wali di Damasco Mustafa Pascià prova a fermarlo ma viene sconfitto nel novembre del 1623 nella battaglia di Anjar, nella valle della Beqa.


La battaglia è un passaggio essenziale della storia del Libano: poco più di diecimila uomini, di fedi e provenienze diverse ma accomunati da un obiettivo, essere liberi, riescono a sconfiggere con l’astuzia e l’organizzazione un esercito che vantava più del quadruplo di effettivi. Dopo la vittoria, come sua natura, Faccardino si mostra pietoso con Mustafa Pascià: non solo non lo uccide ma gli riserva una prigionia oltremodo dignitosa.


Adesso Faccardino si dedica ad ammodernare il paese imitando le architetture ed esportando i progressi in campo scientifico. In Toscana ha visitato anche la zecca, le tipografie, laboratori di polvere da sparo e simili. Il Granducato gli mette a disposizione uno stuolo di maestri e artigiani fiorentini. Le maestranze toscane, per quanto inferiori nel numero e nella qualità, più che per interventi di carattere estetico, sono essenziali nell’opera di ammodernamento delle piazzeforti del Libano e in diversi interventi infrastrutturali, come ponti e strade.


Uno dei castelli su cui l’intervento dell’Emiro è stato sensibile è quello di Beaufort. Di origine crociata il castello copre un’area strategica e lo si è visto anche con la più recente occupazione israeliana. È solo questo uno dei tanti interventi di ordine militare concretizzatisi sotto Faccardino in tutta la regione, anche grazie al supporto degli artigiani toscani. Purtroppo, l’incedere del tempo e i continui sconvolgimenti del paese hanno cancellato molte tracce ma l’architettura libanese, per le bicromie, per le forme sintetiche, per l’armonia con la flora, ben testimonia la presenza della Toscana.



Non è quello delle fortificazioni militari o delle infrastrutture l’unico campo nel quale il Grandemir applica le conoscenze apprese. Introduce la produzione della seta che incoraggia presso la comunità maronita. Lui stesso usa commerciare: ne spedisce 45 vasi a Firenze nel 1631 grazie al maronita Ibrahim al-Haqallani che ne dona uno al Cardinal de Medici e vende le altre donando il ricavato al Monte di Pietà.


Per migliorare i commerci costruisce il Khan Al Franj, ovverosia il caravanserraglio dei “Firarj” (generalmente gli europei) a Sidone aperto ai mercanti italiani e francesi e restaurato dalla Hariri Foundation nel 1993, mentre avvia i lavori di allargamento del porto di Beirut che sceglie come sua residenza invernale.


Le sorti cambiano quando gli Ottomani terminano le campagne contro la Persia e possono dedicarsi a sedare i rivoltosi. Faccardino tenta invano di convincere la Toscana, allora governata da Ferdinando II, a intervenire ma l’aiuto non arriva, anche perché, in quel momento, il Granducato è fiaccato dalle conseguenze della Peste.


Catturato, è condotto a Istanbul dove viene giustiziato insieme alla famiglia. La sua è una figura estremamente affascinante e significativa per la storia anche contemporanea del Libano e per il lascito culturale e materiale che ha dato al Paese dei Cedri.




Talal Khrais, corrispondente National News Agency, aggiunge: “La Toscana vanta una storia ricca di rapporti con il Libano. Quella di Fahkr-al-Din è una figura che merita di essere riconosciuta e studiata. È stato un simbolo di convivenza tra le fedi diverse, un esempio. Lui difendeva la sua patria e si opponeva alla presenza vessatoria degli Ottomani. Aveva il preciso disegno di rovesciare, insieme al Granducato, il dominio degli Ottomani, che hanno lasciato indietro di secoli il mondo arabo. Abbiamo ricostruito anche che i toscani abbiano mandato tale Ciccio Marra, apparentemente come mercante, in Libano per studiare le necessità in termini di uomini e armamenti di Faccardino. Il lascito dell’Emiro è tangibile tutt’oggi. Nel Monte Libano e nello Shouf vediamo architetture sintetiche tra arte toscana e araba. La Toscana ha fornito anche delle competenze nel campo tecnico e agricolo che sono state essenziali. Le olive dello Shouf le chiamano olive toscane. La Toscana più di ogni altra regione è in Libano ed è una presenza che dobbiamo valorizzare”.

Lorenzo Somigli

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