Libano - La Biennale di Venezia, Intervista ai curatori Mostra
- Patrizia Boi
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Patrizia Boi (Assdakah News) - Intervista alle quattro giovani menti del Collective for Architecture Lebanon (CAL) – Shereen Doummar, Edouard Souhaid, Elias Tamer e Lynn Chamoun – che portano alla Biennale Architettura 2025 la Mostra «La Terra Si Ricorda».

1. Mi piace l'idea di creare un "Ministero dell’Intelligenza della Terra" come struttura curatoria per il padiglione, sembra quasi di ispirazione Orwelliana. Cosa invece vi ha ispirato?
Shereen Doummar: «La nostra scelta di creare un ministero fittizio risponde alla necessità urgente di dare una risposta all’ecocidio in atto, una risposta che non sia solo passiva ma che incoraggi l’azione. La terra ha una memoria, e questo ministero è il nostro modo per riflettere e agire su questo ricordo, per costruire una piattaforma in cui il ricordo della devastazione possa essere documentato e, allo stesso tempo, si possano sviluppare soluzioni concrete per la guarigione della terra».
2. Il tema centrale del padiglione sembra ruotare attorno alla relazione tra architettura e ecocidio. In che modo l’architettura può contribuire a "guarire" la terra?
Edouard Souhaid: «L'architettura non può più limitarsi a costruire per rispondere alle necessità umane; deve interagire con l'ambiente naturale in modo rispettoso e rigenerativo. La nostra visione è quella di integrare processi naturali nei progetti architettonici, promuovendo la rigenerazione del territorio e dando priorità alla salute ecologica nei nostri progetti. Il nostro padiglione è un invito per gli architetti a diventare attivisti e protagonisti nella difesa della terra».

3. Il Libano ha affrontato sfide devastanti, tra cui l'urbanizzazione incontrollata e la distruzione ambientale. Come vedete il ruolo dell'architettura nel rispondere a questi problemi?
Lynn Chamoun: «L'architettura ha il compito non solo di rispondere alla distruzione, ma anche di prevenire ulteriori danni. In un contesto come quello libanese, dove il degrado ambientale ha raggiunto livelli catastrofici, dobbiamo concentrarci su un approccio che veda l’architettura come un veicolo per la resilienza ecologica. Il nostro padiglione propone una visione dove l'architettura diventa strumento di risanamento e speranza per il futuro».
4. La "memoria della terra" è un concetto affascinante. Come può l'architettura raccogliere e preservare questa memoria?
Elias Tamer: «La memoria della terra è racchiusa nelle cicatrici lasciate dalle azioni dell’uomo, e la nostra intenzione è di raccogliere queste storie attraverso un archivio vivente. La documentazione dell’ecocidio e la sua analisi sono essenziali per ricordare e imparare. L'architettura, attraverso il suo materiale e la sua forma, può conservare questa memoria, dando testimonianza di ciò che è stato distrutto, ma anche offrendo nuovi modelli per il recupero e la rigenerazione».
5. Avete menzionato la creazione di un "Dipartimento di Contro-Mappatura". In che modo le mappe tradizionali e quelle "contro-mappate" sono utilizzate per raccontare la storia del territorio?
Shereen Doummar: «Le mappe tradizionali tendono a raccontare una narrazione unidimensionale, spesso ignorando le trasformazioni subite dai territori a causa dei conflitti o della speculazione. Con il Dipartimento di Contro-Mappatura, vogliamo sfidare queste rappresentazioni ufficiali e riscoprire paesaggi che sono stati cancellati, riportando alla luce storie dimenticate attraverso un’interpretazione alternativa dei dati geografici. Questo non è solo un atto di memoria, ma un invito a ripensare come e perché costruiamo sulle terre».

6. Come la conservazione delle specie endemiche, menzionata nel vostro padiglione, si lega alla conservazione dell’architettura e del paesaggio?
Edouard Souhaid: «La conservazione delle specie endemiche è strettamente legata alla preservazione dei paesaggi naturali e culturali. In un contesto architettonico, questo significa progettare in modo che l'ambiente costruito non solo preservi la biodiversità, ma favorisca anche l'interazione tra uomo e natura. Il nostro approccio integra la conservazione della biodiversità come elemento essenziale per creare un equilibrio ecologico che favorisca un’architettura che rispetti e rigeneri la terra».
7. Come intendete coinvolgere la comunità locale e internazionale nella missione di "guarigione" del territorio attraverso il padiglione?
Lynn Chamoun: «Il nostro padiglione non è solo una mostra, ma uno spazio di attivismo. Invitiamo i visitatori a diventare parte del processo di guarigione, a riflettere sulle loro azioni e a contribuire a costruire un futuro migliore. Attraverso una serie di attività interattive e conferenze, speriamo di stimolare un dialogo che vada oltre i confini del Libano, coinvolgendo persone di tutto il mondo nel nostro obiettivo comune di cura per la terra».

8. Qual è il messaggio principale che volete che il pubblico porti con sé dopo aver visitato il vostro padiglione?
Elias Tamer: «Speriamo che i visitatori portino con sé la consapevolezza che la terra non dimentica e che ogni azione ha delle conseguenze. L'architettura ha un potere incredibile nel plasmare il nostro ambiente, ma deve farlo in armonia con la natura. Vogliamo che il pubblico prenda coscienza delle ferite che abbiamo inflitto alla terra e del ruolo che ognuno di noi deve svolgere nella guarigione di queste cicatrici».
9. Come vedete il futuro della pratica architettonica e urbana in Libano, alla luce dei temi trattati nel padiglione?
Shereen Doummar: «Il futuro dell'architettura in Libano deve essere fondato su una nuova visione: una visione che non separi l’ambiente naturale dall’ambiente costruito. Le pratiche future dovranno integrare la sostenibilità, la rigenerazione ecologica e un profondo rispetto per la memoria e la cultura del territorio. Il Libano ha il potenziale per essere un faro di innovazione architettonica che promuova un equilibrio tra l'uomo e la natura, e speriamo che il nostro padiglione possa ispirare questa nuova direzione».
10. Infine, quali sono le sfide principali che vedete per il Libano e la regione in generale nell’affrontare la crisi ecologica?
Edouard Souhaid: «La sfida principale è superare l’approccio a breve termine che spesso prevale nelle politiche governative e nelle pratiche di costruzione. In una regione come la nostra, dove le guerre e l’instabilità politica hanno dominato la scena, è difficile pensare al futuro ecologico, ma è essenziale farlo. La nostra speranza è che il nostro padiglione possa contribuire a sensibilizzare e a promuovere cambiamenti che siano sostenibili, sia per l’ambiente che per le generazioni future».
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