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Libano - La cultura dell'impunità blocca le indagini


Talal Khrais – Mentre i militari italiani sostengono popolazione locale, e i libanesi, incoraggiati dal buon avvio della situazione politica, stanno finalmente uscendo da una spirale drammatica che non sembrava avere via d’uscita, 145organizzazioni per i diritti umani, sopravvissuti e parenti delle vittime della devastante esplosione nel porto di Beirut hanno chiesto il 15 settembre scorso al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite un'indagine internazionale indipendente sulla strage, mentre l'inchiesta locale resta bloccata per volontà della classe politica per proteggere suoi uomini accusati dalla magistratura di responsabilità diretta.

L'esplosione del 4 agosto 2020, attribuita allo stoccaggio senza misure precauzionali di enormi quantità di nitrato di ammonio, ha provocato almeno 207 morti, oltre 6.500 feriti e devastato quartieri dell'intera capitale. Le autorità libanesi, individuate come principali responsabili, hanno respinto a priori ogni indagine internazionale, mentre l'inchiesta locale continua ad essere impantanata a più di un anno dalla strage, in un contesto di forte pressione politica. Secondo le ONG internazionali, alti funzionari politici, di sicurezza e giudiziari erano consapevoli dei pericoli di questa sostanza altamente volatile ma non hanno adottato alcuna misura preventiva. In una lettera congiunta, i 145 firmatari, tra cui Human Rights Watch (HRW) e Amnesty International, hanno invitato gli Stati membri del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite a "stabilire una missione internazionale d'inchiesta indipendente e imparziale".

I parenti delle vittime e dei sopravvissuti hanno lanciato "un nuovo appello al Consiglio per i diritti umani affinché istituisca con urgenza una missione per indagare sull'incapacità dello Stato libanese di tutelare i propri diritti", ha affermato Aya Majzoub di HRW. "A più di un anno dall'esplosione, i leader libanesi continuano a ostacolare, ritardare e minare le indagini locali", ha aggiunto.

La lettera deplora "il fallimento dell'indagine locale" e "lo spudorato ostacolo delle autorità" che dimostrano, secondo i suoi firmatari, "la cultura dell'impunità che esiste da tempo in Libano e la necessità di un'indagine internazionale". Una lettera simile era già stata inviata a giugno al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite da 115 organizzazioni e rappresentanti dei sopravvissuti e dei parenti delle vittime dell'esplosione al porto della capitale libanese. D’altro canto continua il sostegno da parte dei militari italiani alla popolazione civile.

I vertici della missione militare italiana in Libano, inquadrata nel contingente Onu (Unifil) schierato a ridosso della Linea Blu di demarcazione con lo Stato Ebraico riferiscono dei progressi svolti nell'ambito del sostegno del contingente italiano alla popolazione locale del sud del Libano, dove è dispiegata la Brigata Aeromobile Friuli.

In un comunicato si afferma che "nel pieno rispetto delle misure di contenimento per il covid, il comandante del settore ovest dell'area di responsabilità di Unifil, il generale Stefano Lagorio, ha inaugurato assieme al sindaco della cittadina libanese, Adnan Kassir, una stazione di compostaggio dei rifiuti". Il progetto è stato finanziato con fondi italiani. I militari italiani attualmente impegnati nel sud del Libano sono circa un migliaio.

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