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Sonallah Ibrahim - La coscienza e la vita

  • 20 ago
  • Tempo di lettura: 3 min

Wael Almawla - Una vita ricca di esperienze, osservando il percorso di Sonallah Ibrahim. Ci rendiamo conto di trovarci davanti a uno scrittore che non è stato soltanto un narratore di storie, ma un testimone del suo tempo e una coscienza viva che ha scelto di affrontare la repressione. Nato al Cairo nel 1937, si impegnò fin da giovane nell’attività politica di sinistra, pagando con lunghi anni di carcere negli anni Sessanta.

Questa esperienza dura ha plasmato la sua coscienza letteraria ed è diventata una matrice fondamentale in gran parte delle sue opere. Scrisse della prigione come di un’immagine condensata della patria, affermando in una sua testimonianza: “Ciò che ho vissuto dietro le sbarre non è stato altro che un riflesso ingigantito di ciò che vive tutta la società.”

La letteratura come atto di accusa

Nelle sue opere, Sonallah Ibrahim non offre una narrazione per intrattenere, ma un testo che si avvicina al documento storico e politico. Il romanzo.

La Commissione (1981) incarna il labirinto della burocrazia e della tirannia, dove il protagonista si trova intrappolato in comitati che lo interrogano su ogni dettaglio della sua vita: una potente metafora dello Stato di sorveglianza.

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Con Zaat (1992) traccia un’ampia panoramica dell’Egitto contemporaneo attraverso la vita di una donna semplice, inserendo nel testo articoli di giornale e pubblicità, trasformando il romanzo in uno specchio della realtà. In Sharaf (1997), apre le porte delle carceri egiziane, svelando un sistema di corruzione e potere, facendo dire al suo protagonista: “Il carcere non era un luogo per punire i colpevoli, ma per educare gli obbedienti.”

Un atteggiamento senza compromessi

Ciò che distingue Sonallah Ibrahim è il suo rifiuto di separare la letteratura dalla posizione politica. Nel 2003 rifiutò di ritirare il Premio del Cairo per la creatività narrativa, dichiarando la sua protesta contro le politiche dello Stato e sottolineando che un potere che reprime la libertà dell’uomo non ha il diritto di celebrare la letteratura. Questa scelta fu la naturale prosecuzione della sua traiettoria letteraria, costantemente in opposizione al potere. Un gesto raro nel panorama letterario arabo, che ricorda le prese di posizione di scrittori come Jean-Paul Sartre quando rifiutò il Premio Nobel, a conferma che lo scrittore non è soltanto un testimone ma un attore nel cuore della battaglia.

Uno stile fra documentazione e creatività

Sonallah adottò uno stile unico che fonde narrativa e documento. Nei suoi testi inserisce articoli giornalistici, comunicati ufficiali e annunci pubblicitari reali, ponendo il lettore di fronte a una realtà innegabile. Questa tecnica ha reso la sua scrittura simile a una “testimonianza letteraria” su un’epoca araba segnata da repressioni e disillusioni. Può essere paragonato alla corrente del romanzo non-fiction, come nel caso di Truman Capote in A sangue freddo, con la differenza che Sonallah ha utilizzato tale tecnica per denunciare la rovina politica e sociale in Egitto e nel mondo arabo.

Un’eredità indelebile

Sonallah Ibrahim resta uno dei più importanti romanzieri arabi della seconda metà del Novecento. Uno scrittore che ha fatto della letteratura un atto di resistenza e del romanzo un’arena per svelare verità. I lettori possono divergere sul suo stile o sulla durezza delle sue critiche, ma nessuno può negare che la sua eredità letteraria rimarrà testimonianza che la letteratura può essere più sincera della storia e più profonda di qualsiasi discorso politico. Forse per questo il critico Gaber Asfour disse un giorno di lui: “È lo scrittore che scrive controcorrente, consapevole che la scrittura stessa è un’avventura etica prima ancora che estetica”.

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