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Toronto e la comunità araba: geografie dell’amicizia, tra quotidianità, cultura e memoria

  • 1 ago
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 2 ago

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Maddalena Celano (Assadakah News) (أسداقة)

Nel cuore del Canada multiculturale, Toronto rappresenta oggi una delle metropoli nordamericane con la più significativa e dinamica presenza araba. Un tessuto di storie, lingue, gesti e resistenze quotidiane che si intrecciano nel paesaggio urbano, disegnando una geografia dell’amicizia tra mondi, traaderenze e identità.

Dalle moschee ai centri culturali, dai ristoranti ai festival, la presenza araba a Toronto non è un episodio secondario, né una semplice componente demografica. È una trama viva, un ponte tra Nord America e mondo arabo, una lente attraverso cui osservare le trasformazioni dell’identità canadese stessa.


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Un mosaico in crescita: chi sono gli arabi di Toronto?


Secondo i dati aggiornati della Canadian Arab Institute, nella Greater Toronto Area (GTA) vivono oggi oltre 170.000 persone di origine araba. Le comunità più numerose sono quelle libanese, palestinese, siriana e irachena, ma sono presenti anche egiziani, marocchini, sudanesi, giordani e algerini.

Molti di loro si sono stabiliti qui dopo ondate migratorie successive: chi fuggiva dalle guerre in Libano negli anni ‘80, chi cercava rifugio durante e dopo l’invasione dell’Iraq, chi ha lasciato la Siria devastata dal conflitto. Altri sono nati qui, figli della diaspora, cittadini canadesi a tutti gli effetti.

“Sono arrivato a Toronto nel 2003, dopo Baghdad. All’inizio non capivo se dovevo nascondermi o spiegare chi ero. Poi ho scoperto che qui bastava essere me stesso”, racconta Ahmad, iracheno, oggi libraio nel quartiere di North York.

La composizione religiosa è variegata: la maggioranza è musulmana sunnita e sciita, ma una quota rilevante appartiene a confessioni cristiane (maroniti, ortodossi, copti) e una parte si dichiara laica o agnostica.


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Vita quotidiana: pluralismo vissuto, non dichiarato


Toronto non mette l’identità araba in vetrina. Non serve. Essa è parte integrata della vita urbana: nei mercati, nelle scuole, nei parchi. Camminando per Scarborough o Mississauga, è comune imbattersi in supermercati con insegne in arabo, donne con hijab al parco giochi, panifici che sfornano manakish accanto ai donuts canadesi.

Nei mesi estivi, sulle isole di Toronto, si può vedere una scena tanto semplice quanto eloquente: ragazze in bikini che nuotano accanto a donne in burkini, madri arabe che entrano in acqua con abiti di stoffa leggera, giovani maghrebini che giocano a pallone con ragazzi filippini e italiani. Nessuno si volta. È una coesistenza non spettacolarizzata, ma reale.

“Mia madre ha scelto di portare il velo. Io non lo porto. Ma nessuno ci ha mai fatto sentire fuori posto. Né lei né me”, spiega Layla, 21 anni, studentessa di origine egiziana, cresciuta a Toronto.

In luoghi come il Kensington Market, la pluralità prende la forma del colore: botteghe palestinesi accanto a laboratori queer, bandiere del Libano insieme a murales con citazioni di Frantz Fanon, musica araba che si mescola al reggae giamaicano. È un mondo fluido, dove il pluralismo non è un compromesso, ma un orizzonte.


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Spazi di aggregazione e resistenza culturale

Il Arab Community Centre of Toronto (ACCT), fondato nel 1972, è una pietra miliare. Offre corsi di lingua, assistenza sociale e legale, laboratori per donne, programmi di inserimento lavorativo. È anche un presidio di memoria per la comunità palestinese e un luogo di incontro intergenerazionale.

Altro luogo simbolico è The Haifa Room, ristorante gestito da eredi israeliani e palestinesi, dove la cucina diventa spazio politico e di riconciliazione. “Non è un locale neutro, è un atto politico. Cuciniamo insieme e serviamo insieme. Lo facciamo per i nostri figli,” dice con un sorriso Nour, co-proprietaria.


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Cultura, attivismo, e il legame con le origini


Il Taste of the Middle East Festival, il Toronto Arab Film Festival, gli eventi promossi dalla Canadian Arab Institute e il National Council on Canada–Arab Relations mostrano la vitalità intellettuale della diaspora araba. Non si tratta solo di preservare le radici, ma di contribuire attivamente al dibattito culturale canadese.

Molti giovani arabo‑canadesi oggi rifiutano l’etichetta dell’“integrazione passiva”. Rivendicano un’identità plurale: araba, canadese, diasporica, ma anche queer, femminista, decoloniale.

“Non dobbiamo scegliere tra essere arabi e canadesi. Possiamo essere entrambi. Possiamo essere altro ancora”, afferma Walid, artista queer di origini algerine, attivista in un collettivo antirazzista torontino.

Diplomazie informali e amicizie concrete

I legami tra il Canada e il mondo arabo non si giocano solo nelle ambasciate, ma soprattutto nelle relazioni umane quotidiane: nelle università, nei centri comunitari, nelle scuole pubbliche dove gli insegnanti leggono poesie di Darwish accanto a Shakespeare.

Toronto è, in questo senso, una piattaforma di “diplomazia popolare”: un laboratorio dove si costruisce amicizia — assadāqa, in arabo — tra mondi e culture, senza bisogno di proclami istituzionali.


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Nota dell’autrice

Scrivere di Toronto e della sua comunità araba, per me, ha significato attraversare una geografia umana fatta di resilienza, di memoria e di bellezza. In un tempo in cui i muri si alzano e le identità si irrigidiscono, incontrare persone che vivono quotidianamente l’incontro e il rispetto reciproco è un atto di resistenza.

Assadakah, in arabo, significa amicizia. E questa amicizia è reale, concreta, tangibile. Vive nei piccoli gesti, negli spazi condivisi, nelle parole dette con accento canadese ma cuore arabo. È un’amicizia che non chiede il permesso: semplicemente, accade.


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