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Toronto, microcosmo del mondo

  • 1 ago
  • Tempo di lettura: 3 min

Toronto, microcosmo del mondo: appunti di viaggio tra boicottaggio silenzioso, pluralismo visibile e creatività urbana

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Maddalena Celano (Assadakah News) - Dal 16 al 26 luglio 2025 ho trascorso dieci giorni a Toronto, città simbolo del Canada contemporaneo. È stata un’esperienza immersiva, in una metropoli che non si limita a convivere con la diversità, ma sembra nutrirsene. Passeggiando per i suoi quartieri, dai grandi centri commerciali alle isole del lago Ontario, ho potuto osservare da vicino alcune dinamiche economiche e culturali che raccontano molto di questo Paese, spesso percepito dall’Europa solo come “gentile” e “tollerante”. La realtà è ben più articolata, viva e politicamente significativa.

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Boicottaggio silenzioso, ma deciso

Una delle cose che colpisce sin da subito, frequentando i grandi magazzini e i negozi del centro, è l’assenza quasi sistematica di prodotti statunitensi. Non si tratta di una campagna dichiarata o ufficiale, ma il boicottaggio è palpabile: si privilegiano in modo evidente i prodotti canadesi e, laddove questi non siano disponibili, l’alternativa arriva dall’Asia — soprattutto Cina, Corea del Sud e Giappone — oppure dall’Europa. Dai generi alimentari all’abbigliamento, fino all’elettronica e all’oggettistica per la casa, l’origine statunitense sembra accuratamente evitata.

È una forma di resistenza discreta ma significativa, che si ricollega verosimilmente ai contraccolpi politici ed economici della stagione trumpiana, che aveva imposto dazi al Canada e ostentato atteggiamenti di superiorità nei confronti di Ottawa. In risposta, il Canada sembra aver elaborato una strategia non gridata, ma efficacissima: quella del consumatore consapevole e del mercato che sceglie in silenzio. Nessuna propaganda, solo scelte quotidiane ripetute con coerenza.


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Le isole del pluralismo


Ma Toronto non si esaurisce nella sua economia politica. È nella sua carne sociale che batte il cuore più vivo e stimolante. Le isole di Toronto — meta prediletta nei giorni estivi — sono uno degli spazi dove il pluralismo prende forma in modo più visibile e concreto. Qui si incontra una società che convive davvero con la differenza. Sulle rive sabbiose, nella calma del lago, è normale vedere una donna in bikini accanto a una donna in burkini, oppure una donna araba che fa il bagno completamente vestita, con abiti quotidiani in stoffa leggera. Nessuno si volta, nessuno giudica. Tutto appare naturale.

Il rispetto non è solo tolleranza, ma interazione pacifica. Si vedono famiglie africane, sikh, latine, arabe, indiane, cinesi, tutte condividere gli stessi spazi verdi e le stesse acque. Ci si saluta, ci si parla, si gioca insieme. Si percepisce una vivacità culturale autentica, alimentata dallo scambio continuo. La creatività prende forma nelle biciclette decorate, nei picnic improvvisati, nei mercatini autogestiti, nei piccoli concerti spontanei nei parchi. Un’energia sociale che non è retorica, ma esperienza quotidiana.

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: laboratorio sociale a cielo aperto


Nel cuore della città, Kensington Market resta uno dei quartieri più emblematici di questa convivenza alternativa. Qui, culture e linguaggi si sovrappongono, gli odori delle cucine del mondo si mescolano, murales e manifesti raccontano battaglie contro il razzismo, l’estrattivismo e il neoliberismo. C’è spazio per le comunità islamiche, per gli afrodiscendenti, per i migranti di nuova e vecchia generazione, per gli artisti urbani, per i collettivi femministi e i movimenti socialisti, ancora molto attivi e radicati nel tessuto urbano.

Nonostante il governo nazionale mantenga una linea centrista e liberale, il fermento politico non manca. È un fermento che non si limita alla protesta, ma propone alternative, visioni, esperimenti di convivenza. Qui il pluralismo non è solo accettato, ma celebrato, nella quotidianità dei gesti e delle parole.

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Appunti di coscienza: la riflessione di una viaggiatrice critica


Camminando tra le vie di Toronto, tra una libreria queer e un tempio sikh, tra un caffè di rifugiati eritrei e un murale zapatista, mi sono chiesta più volte cosa significhi davvero “integrazione”. Se la risposta fosse solo giuridica, amministrativa, identitaria, sarebbe un fallimento. E invece ho visto qualcosa di più profondo: una coesistenza dinamica, non sempre lineare, ma reale. Ho visto differenze che non si cancellano, ma si riconoscono, si sfiorano, a volte si contaminano. Ho respirato un’aria di rispetto che non è paternalismo, ma coscienza collettiva.

In un’epoca in cui l’Europa erige confini e l’Italia recinta le differenze in recinti culturali, Toronto mi è sembrata un esperimento ancora aperto di umanità in cammino. Non è un paradiso, certo. Ma è uno spazio dove il conflitto non viene demonizzato, bensì reso produttivo. Dove la pluralità non è un pericolo, ma una ricchezza concreta. Dove il burchini e il bikini non sono simboli da opporre, ma gesti di libertà che possono convivere nella stessa acqua, nello stesso sole.

E allora sì, ho pensato: forse la vera civiltà oggi è silenziosa, resistente, fatta di scelte quotidiane e di rispetto non ostentato. Forse il Canada non fa la rivoluzione, ma la prepara. Nel modo più sottile: coltivando la dignità di ogni esistenza.

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