Giordania - Il Monte Nebo e le Acque di Vita
- 8 ott
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Aggiornamento: 19 ott
Patrizia Boi (Assadakah News) - Rubrica Culturale "Le Mille e Una Fiaba" - I Favolosi Paesi della Lega Araba
Capitolo 8 GIORDANIA - Il Monte Nebo e le Acque di Vita

Molto tempo fa, tra le terre rocciose della Giordania, sotto l’imponente Monte Nebo, viveva un giovane pastore di nome Omar. La sua vita scorreva tranquilla, immersa nel silenzio delle montagne. Ciò che lo rendeva speciale, però, era il dono che aveva: riusciva a parlare con gli animali. Gli altri, incapaci di sentire ciò che gli animali dicevano, vedevano solo creature mute, ma per Omar il mondo animale era un libro aperto. Non lo trattavano come uno straniero, ma come uno dei loro, capace di ascoltare, comprendere e rispondere con parole senza suono.
Un giorno, una strana malattia cominciò a diffondersi tra gli abitanti del villaggio. I capelli cominciarono a cadere, la pelle si coprì di macchie e pustole. Nessuna cura sembrava efficace, eppure Omar non si ammalava. I suoi occhi, sempre attenti agli animali, si colmarono di preoccupazione. Non sapeva spiegarsi il motivo, ma sentiva che quella malattia non era solo fisica. C’era qualcosa di più, qualcosa che stava affliggendo l’anima del villaggio. Ma lui, con la sua saggezza silenziosa, non si lasciò sopraffare dal panico.
Decise di partire. La sua ricerca lo portò verso il Monte Nebo, là dove si diceva che le acque termali nascondessero un potere misterioso, in grado di purificare e guarire. Ma il cammino, anche per un giovane pastore, non sarebbe stato facile. Gli animali parlavano di un luogo segreto, un sentiero nascosto solo a chi fosse davvero pronto a capire.
Mentre camminava tra le rocce e il vento caldo, qualcosa catturò la sua attenzione: una lince. Non c’era rumore, nessun movimento brusco, solo il silenzio dell’animale che lo fissava. Omar si fermò, immobile. La lince, con gli occhi pieni di saggezza, lo guardava senza paura. Lentamente, si voltò e cominciò a muoversi. Non c’era una strada visibile, ma la lince sapeva dove andare. Omar la seguì, sentendo che ogni passo lo avvicinava a una risposta che non conosceva ancora. Ogni tanto la lince si fermava, come se stesse aspettando che Omar fosse pronto a comprendere. La lince disse con la sua voce silenziosa:
«Dobbiamo recuperare tre Sigilli, seguimi e ascolta il tuo cuore».
I giorni passavano e il paesaggio cambiava. La vegetazione si faceva sempre più scarsa, il cielo più limpido. La lince continuava a guidarlo. Il silenzio era denso di mistero, e per la prima volta, Omar iniziò a sentire che qualcosa stava cambiando dentro di lui.
Una notte, mentre la luna brillava alta nel cielo, la lince si fermò davanti a una piccola fonte, nascosta tra le rocce. L’acqua scorreva tranquilla, ma con una luce speciale, come se racchiudesse dentro di sé un potere invisibile. Omar si inginocchiò, senza esitazione, e bevve. Ma non fu solo il corpo a sentirne gli effetti: un’energia sottile e calda cominciò a fluire dentro di lui, e la sua mente si aprì a una nuova comprensione.
La lince si voltò, fissandolo ancora una volta con occhi che parevano attraversargli il petto. Poi si mosse, lenta, senza rumore, scomparendo tra le rocce. Omar la seguì, senza domande. Il vento era cambiato: sapeva di sabbia antica e di foglie secche. I passi del pastore erano cauti, ma il cuore spingeva avanti, come se la terra stessa lo chiamasse.
Prima Prova – Il Vento e la Piuma Nascosta

Il sentiero si fece più stretto. Le rocce parevano inclinate verso di lui, come se volessero ascoltare i suoi pensieri. Omar camminava in silenzio, mentre il vento soffiava tra le gole con una voce antica. La lince non c’era più, scomparsa nel nulla. Al suo posto, solo il sibilo dell’aria e il battito lento del proprio cuore.
All’improvviso, il cielo cambiò. Le nubi scesero basse, danzando come veli impazziti tra le pareti della montagna. Il pastore si fermò: l’aria era diventata pesante, densa di sabbia e presagi. Davanti a lui, una radura di pietra si aprì come una bocca pronta a inghiottirlo. Al centro, un vecchio albero contorto, secco come il ricordo di un sogno. Ma non era solo.
Dalle rocce emerse una figura avvolta in un mantello di piume nere, alte come corvi. I suoi occhi, profondi come pozzi senza fondo, fissavano Omar con una calma inquietante. Parlò senza muovere le labbra:
«Solo chi sa seguire il vento può trovare la piuma nascosta. Ma attento: molti hanno cercato, e sono rimasti muti, prigionieri del loro stesso respiro».
Intorno, il vento cominciò a fischiare più forte. Danzava in cerchi, sollevando polvere e memorie. Omar chiuse gli occhi. Non poteva vedere, solo ascoltare. E in quel suono, tra mille voci sovrapposte, riconobbe un richiamo sottile. Un battito. Un fruscio d’ali.
Aprì gli occhi e corse. Tra gli spuntoni di roccia, tra le trappole della gola, seguiva l’eco invisibile di qualcosa che sfuggiva alla vista. Più volte inciampò, si ferì, si rialzò. Il vento sembrava volerlo spingere indietro. Ma proprio quando le forze stavano per abbandonarlo, una creatura minuscola apparve davanti a lui: un colibrì dalle piume cangianti, impossibile in quel deserto.
«Non tutto ciò che vola fugge», sussurrò l’uccellino, e si posò su un ramo dell’albero contorto.
Lì, incastrata tra le spine secche, Omar vide una piuma diversa da tutte: bianca, ma attraversata da sottili venature d’oro. La prese, e il vento si placò di colpo. L’uomo dal mantello di piume nere chinò il capo.
«Hai ascoltato il vento, non la paura. Hai scelto la via del silenzio interiore. Questa piuma ti aprirà la porta della seconda prova. Ma ricordati: chi ascolta solo se stesso, non ascolta nulla».
Poi scomparve, dissolto come nebbia. Il colibrì volò via. E Omar, stringendo la piuma tra le dita, sentì che il vento dentro di lui aveva finalmente trovato la sua direzione. Aveva recuperato il Primo Sigillo – La piuma bianca trovata dal colibrì.
Seconda Prova – La Caverna delle Voci Perdute

Con la piuma stretta nel palmo, Omar proseguì il cammino. Il paesaggio mutava sotto i suoi piedi: la pietra si fece più scura, quasi lavica, e l’aria, che prima danzava, ora pareva trattenere il fiato. Dopo ore di marcia silenziosa, raggiunse un passaggio stretto tra due rupi, così angusto da dovervi entrare di lato. Appena lo attraversò, il mondo si fece buio.
Davanti a lui si apriva una grotta, un’antica caverna incisa nel ventre del Monte Nebo. Lì, secondo le storie raccontate dalle aquile, si diceva che le voci dei viandanti venissero inghiottite per sempre se non sapevano distinguere la verità dall’inganno.
Appena varcata la soglia, Omar sentì il suo stesso nome risuonare intorno: «Omar… Omar…». Ma non era la sua voce. Era quella di suo padre, poi di sua madre, poi di amici perduti, e infine… la voce della lince. Tutte parlavano insieme, mescolandosi come un fiume che scorre in senso contrario.
In quel buio profondo, apparve una figura fatta di ombra e fumo: aveva il volto cangiante, ora quello di un anziano, ora quello di un bambino, ora nessuno. La creatura parlava senza sosta:
«Tu vuoi guarire il tuo villaggio? Ti offro le risposte. Ti basta ascoltare… e accettare».
D’un tratto, il buio cominciò a prendere forma: apparvero immagini, miraggi. Vide il suo villaggio tornare sano, i visi felici, le risa dei bambini. Ma qualcosa non tornava. Nessuno lo guardava. Nessuno parlava più con gli animali.
«Un mondo perfetto, ma muto», pensò.
Poi sentì un sussurro vicino all’orecchio, una voce appena percettibile, come una brezza:
«Ricorda chi sei… ascolta il silenzio.»
Era il richiamo della lince. Non una voce, ma un’intuizione.
Omar chiuse gli occhi, si tappò le orecchie e si inginocchiò. Cominciò a respirare lentamente, come faceva quando stava con i cervi, tra gli alberi. E allora, una per una, le voci cessarono. Il buio si fece luce tenue, la caverna si rivelò non più come un luogo di paura, ma come uno scrigno scolpito nel tempo.
Sul pavimento, circondata da piccole pietre incise, brillava una conchiglia dorata.
Appena la toccò, la voce della creatura d’ombra tornò, ma flebile:
«Hai scelto il vero ascolto… Hai perso la voce del mondo, ma hai trovato quella dell’anima».
La conchiglia si aprì come un fiore, rivelando al suo interno un minuscolo cristallo azzurro, che pulsava di luce viva. La Conchiglia Dorata era il Secondo Sigillo. Omar lo prese. Il buio si dissolse. E quando uscì dalla caverna, il sole lo accolse con un calore mai sentito prima. Aveva imparato che non tutte le voci meritano attenzione. E che il silenzio, a volte, dice molto di più.
Terza Prova – Il Giardin--o delle Memorie Dormienti

Il sole calava lento, tingendo di rame le rocce e i cieli della Giordania. Omar camminava ormai da giorni, con due Sigilli al collo: la Piuma Bianca e la Conchiglia Dorata. Entrambi vibravano di una luce propria, come se sapessero che il tempo stava per compiersi.
Seguendo le indicazioni silenziose della terra – i solchi tra le pietre, i versi notturni degli sciacalli, i segni tracciati dal vento – Omar giunse infine a una radura nascosta tra alture incise dal tempo. Al centro si estendeva un giardino impossibile: tra sabbia e roccia, sorgevano alberi in fiore, cespugli di melograno, palme cariche di datteri e fontane che sgorgavano da nulla.
Ma era un giardino strano, silenzioso, come sospeso nel tempo. Ogni foglia pareva immobile, ogni goccia d’acqua bloccata a mezz’aria, come in un sogno che non osa svanire. E al centro, sopra una pietra piatta, giaceva una figura umana: era lui. Omar. O almeno, una sua immagine esatta, dormiente, il volto sereno e gli occhi chiusi.
Fu allora che una figura emerse dall’ombra degli alberi: era una donna anziana, avvolta in veli dorati, con occhi neri come la notte.
«Benvenuto nel Giardino delle Memorie Dormienti», disse, con voce che sembrava provenire da molto lontano.
«Qui giace ciò che hai dimenticato. E per ottenere il Terzo Sigillo, dovrai scegliere: restare in questo sogno eterno, dove tutto è perfetto e privo di dolore, o svegliare la tua memoria e affrontarne il peso».
Omar sentì un fremito dentro. Il giardino gli parlava: uccelli che non cantavano, ruscelli che non scorrevano, alberi che non mutavano. Tutto era bello, sì… ma immobile. Finto. Un’illusione senza tempo.
Si avvicinò alla sua immagine dormiente. Appena sfiorò la mano del suo doppio, un'ondata di ricordi esplose nel suo cuore: il volto del primo animale che aveva capito, il giorno in cui aveva sentito piangere un passero ferito, la notte in cui aveva visto la malattia nascere tra le capanne del villaggio. E infine… il dolore degli altri. La solitudine di chi non sa ascoltare.
L’anziana lo osservava.
«Se accetti questi ricordi, il giardino svanirà. Non tornerà mai più. Ma se resti, tutto sarà calmo. Eternamente».
Omar guardò la sua immagine. Poi guardò le sue mani. E, con gesto deciso, le batté sul petto. «Preferisco il dolore vero alla pace illusoria».
Il vento si sollevò, forte, carico di foglie e luce. L’immagine dormiente si dissolse in aria, come polvere dorata, e al suo posto, nella pietra, emerse un piccolo amuleto di terracotta, inciso con simboli antichi: il Terzo Sigillo.
Il giardino cominciò a svanire. Le fontane si seccarono, gli alberi si piegarono in una danza silenziosa. L’anziana sorrise per la prima volta.
«Hai scelto la memoria. E con essa, la speranza».
Omar uscì dalla radura. Aveva con sé i Tre Sigilli. Ma più di tutto, aveva risvegliato dentro di sé il potere più antico: la capacità di ricordare ciò che ci rende umani.
Epilogo – Il Monte Nebo e le Acque di Vita

Il cielo sopra il Monte Nebo si tingeva di un blu profondo, come se ogni angolo della terra stesse trattenendo il respiro. Omar camminava, ormai stanco, ma portava con sé una forza che non si poteva vedere, solo sentire. I Tre Sigilli pendevano dal suo collo, simili a tre gemme che brillavano di luce propria. La piuma bianca trovata dal colibrì, la conchiglia dorata e l’amuleto di terracotta pulsavano come se fossero vivi.
La lince lo attendeva all'entrata di un passaggio nascosto tra le rocce. I suoi occhi, brillanti come stelle, si incrociarono con quelli di Omar. La sua presenza, che un tempo sembrava enigmatica, ora era diventata una guida. Con un gesto lento, la lince gli indicò il cammino, un sentiero che appariva solo a chi fosse davvero pronto.
Con passo fermo, Omar si avvicinò alla fenditura tra le rocce. Non era una grotta, né un tunnel, ma una porta che si apriva solo a chi avesse il cuore puro. I Sigilli cominciarono a tremare e a levitare, formando un cerchio attorno a Omar, e quando il giovane pastore vi passò in mezzo, il sentiero si rivelò. Una scala di pietra scendeva nell’oscurità.
Scese lentamente, senza paura, mentre le pareti intorno a lui raccontavano storie di antiche ricerche e di uomini che avevano cercato il segreto della vita, ma non avevano mai ascoltato davvero. E finalmente, alla fine del cammino, giunse alla Sorgente. L’acqua era limpida e calda, con una luce che pareva scaturire dall’interno della montagna stessa. Non c’era suono, ma l’acqua sembrava possedere una melodia silenziosa che toccava l’anima.
Omar, con rispetto, immerse i Tre Sigilli nell’acqua. La piuma si trasformò in una spirale di luce, la conchiglia emise un suono morbido, e l’amuleto divenne un battito che risuonò nel cuore della terra. L’acqua cominciò a brillare, come se avesse assorbito l’essenza di tutti i ricordi e le scelte fatte.
Omar riempì il suo otre con l’acqua purificatrice e, quando emerse alla luce del giorno, il cielo stava appena cominciando a schiarirsi. Il villaggio era lontano, ma Omar non sentiva più la stanchezza. La lince gli si avvicinò per un ultimo sguardo, poi, senza un suono, svanì nel vento.
Tornato al villaggio, Omar non portava solo l’acqua miracolosa. Portava con sé il dono della verità. Curò i corpi, ma soprattutto curò le anime. Gli abitanti del villaggio impararono a ricordare, a sentire, a vedere, e il cuore di Omar, finalmente, divenne il cuore della comunità.
E sotto l’eterno Monte Nebo, dove la terra tocca il cielo, il nome di Omar divenne leggenda. Non per i miracoli che compì, ma per aver risvegliato l’antico segreto che dimora in tutti noi: l’acqua di vita è la memoria, l’ascolto e la verità.
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SPECIALE LEGA ARABA
A cura di Roberto Roggero, Patrizia Boi
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