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Gibuti - Asma e il Cuore Invertito del Mare

  • 7 ott
  • Tempo di lettura: 7 min

Aggiornamento: 19 ott

Patrizia Boi (Assadakah News) -  Rubrica Culturale "Le Mille e Una Fiaba" - I Favolosi Paesi della Lega Araba


Capitolo 7 GIBUTI - Asma e il Cuore Invertito del Mare


Asma e il cuore invertito del mare
Asma e il cuore invertito del mare

C’era un tempo, sull’antica Isola di Gibuti, in cui il mare aveva smarrito il respiro del mondo. Le maree salivano quando dovevano fuggire, le acque si ritraevano come offese, e il sale – un tempo oro liquido e ponte tra i popoli – ora bruciava le ferite anziché guarirle. Le due isole sorelle, un tempo unite da canti che navigavano tra barche leggere e risate salmastre, tacevano come nemiche divise da un’antica offesa mai narrata. Il silenzio era diventato legge, e il cuore dell’oceano pareva essersi voltato dall’altra parte.


Fu in una notte di luna rovesciata – quando il cielo sembrava guardare il mondo capovolto – che nacque Asma. Aveva i capelli color della sabbia dopo il tramonto e occhi profondi come pozzi d’acqua blu, ombre di un sapere antico. Sebbene fosse nata sull’isola orientale, il suo respiro portava l’eco del vento dell’ovest: parlava una lingua che nessuno le aveva insegnato, come se fosse figlia di entrambi i lembi di terra. Cresciuta tra saline abbandonate e racconti lasciati a metà, Asma camminava leggera ma con dentro un peso: il disagio sordo di chi sente l’assenza di ciò che dovrebbe unire.


Il suo tamburo, dono della nonna che sapeva parlare alle onde, taceva da anni. Nessuno suonava più. Non c’erano storie da condividere, né ritmi comuni su cui danzare. Il mare, che un tempo raccontava tutto, era diventato straniero.


Un giorno, mentre seguiva con lo sguardo l’acqua che risaliva la costa come se volesse abbandonare la terra, un vecchio marinaio comparve tra le dune di sale. I suoi occhi erano pieni di tempeste e memorie, il suo volto scavato dal tempo sembrava un'oasi di saggezza abbracciata dal sole.


«Quando il mare smette di ascoltare la luna», sussurrò, «è perché il Cuore è stato nascosto. E solo chi conosce entrambe le lingue del sale potrà ritrovarlo e guarire il suo battito».


Asma comprese in quell’istante che il tempo dell’attesa era finito. Raccolse il tamburo silenzioso, una bussola spaccata in due – come le isole – e il coraggio nato dal silenzio dei giorni. E partì, con il passo di chi sa che il canto più importante è quello che ancora non è stato ascoltato.


La Prima Prova: Il Labirinto dei Ricordi Cristallizzati


Migliaia di cristalli sospesi erano come stelle pietrificate.  Asma era entrata nel Labirinto dei Ricordi Cristallizzati
Migliaia di cristalli sospesi erano come stelle pietrificate. Asma era entrata nel Labirinto dei Ricordi Cristallizzati

Il sentiero la chiamava come una voce spezzata nel vento. Asma lo seguì, inoltrandosi tra le rocce rosse che parevano sanguinare al tramonto. Il suolo si fece ruvido, le pietre sussurravano sotto i piedi nudi, e il cielo stesso sembrava trattenere il respiro. Alla fine del sentiero, una fenditura sottile si apriva nella collina: una ferita viva, un invito a discendere nell’intimità della memoria.


All’interno, il buio era pulsante, non vuoto ma denso, come un pensiero che non si riesce a dimenticare. Poi, uno sfarfallare di luce cominciò a emergere dalle pareti: migliaia di cristalli sospesi come stelle pietrificate. Vibrazioni sottili scorrevano nell’aria, e Asma comprese che ciò che vedeva non era semplice pietra. Era entrata nel Labirinto dei Ricordi Cristallizzati.


Ogni cristallo custodiva un frammento di passato. Apparivano visi che si erano amati e poi traditi, mani che si erano strette e poi lasciate, commerci spezzati da parole dure, ponti crollati sotto il peso dell’orgoglio. Le figure intrappolate, diafane e mute, camminavano accanto a lei, trasportando ceste di rimpianti, tamburi rotti, vele mai spiegate. Sembravano saperla riconoscere.


Un vecchio dal volto corroso dal sale le si avvicinò. Nelle mani, una rete strappata che odorava di pescatori scomparsi.


«Ogni nodo che non si ricuce, si tramanda come ferita», sussurrò. Poi svanì. Un bambino, seduto ai piedi di un cristallo blu, lasciava cadere grani di sale come lacrime, senza dire una parola. Il tamburo di Asma, muto da anni, cominciò a scaldarsi tra le sue braccia, come se sapesse che il momento era vicino.


Ma il labirinto non si lasciava attraversare facilmente. I cristalli iniziarono a emettere suoni – voci dimenticate, grida, canti interrotti – che si sovrapponevano in un crescendo assordante. Asma si coprì le orecchie, ma i ricordi volevano essere ascoltati. Cadde in ginocchio. Il cuore le batteva troppo forte, il tamburo pesava come una colpa. Poi, nel caos, vide tre cristalli distinti, antichi, pulsanti:


Il primo brillava di un rosso scuro: dolore puro.— Il secondo era verde e frastagliato: rabbia che si era trasformata in veleno.— Il terzo era tenue, quasi invisibile, ma cantava piano: speranza.


Asma, con dita tremanti, toccò i tre cristalli. Le lacrime racchiuse in essi scorsero come rugiada tra le sue mani. Le raccolse con cura, e con un gesto deciso le lasciò cadere dentro il tamburo. Silenzio. Poi, un solo battito. Tum. E fu come se il cuore dell’isola avesse ripreso a battere.


Il suono si propagò nel labirinto, attraversò le pareti, le memorie, le ombre. I cristalli si frantumarono in luce. Le figure svanirono in un respiro collettivo. I lamenti cessarono. Il labirinto, finalmente, si dissolse come nebbia al mattino.


Ma dentro Asma, qualcosa era cambiato per sempre: non si può attraversare il dolore degli altri senza portarne l’eco nel proprio passo. Ora, il tamburo conosceva una nuova lingua: quella delle ferite che vogliono guarire.


La Seconda Prova: L'Anguana del Sale e il Linguaggio Perduto


Al centro di questa distesa desolata, immobile come una statua di sale, si ergeva l'Anguana del Sale. Un essere ancestrale, bianco come la neve, con occhi che mutavano colore a seconda del cielo, riflettendo le sfumature dell'alba, del giorno e del tramonto
Al centro di questa distesa desolata, immobile come una statua di sale, si ergeva l'Anguana del Sale. Un essere ancestrale, bianco come la neve, con occhi che mutavano colore a seconda del cielo, riflettendo le sfumature dell'alba, del giorno e del tramonto

Asma si addentrò nelle pianure saline, un paesaggio surreale dove il terreno, accecante e liscio come uno specchio, rifletteva il cielo in un'unica distesa di luce. L'aria era densa di sale, bruciante sulla pelle, e il silenzio era interrotto solo dal fruscio del vento che sollevava granelli di sale, creando vortici effimeri.


Al centro di questa distesa desolata, immobile come una statua di sale, si ergeva l'Anguana del Sale. Un essere ancestrale, bianco come la neve, con occhi che mutavano colore a seconda del cielo, riflettendo le sfumature dell'alba, del giorno e del tramonto. La sua presenza emanava un'aura di saggezza e potere, un silenzio che parlava di tempi immemori.


«Benvenuta, Asma», disse l'Anguana, la sua voce un sussurro che sembrava provenire dal vento stesso. «Sei nel cerchio dove le parole si sono infrante».


Attorno a lei, frammenti di conchiglie giacevano sparsi sul terreno, come ossa di un linguaggio perduto. Sussurravano suoni spezzati, eco di parole non dette, di promesse infrante, di legami distrutti. Asma comprese che la sua prova consisteva nel ricomporre il linguaggio perduto, nel ridare voce alle parole che un tempo univano le due isole.


Ogni tentativo fallito era un dolore fisico, un taglio sulle mani che ricordava la fragilità delle parole e la facilità con cui potevano ferire. Ma Asma non si arrese. Ascoltò il vento, le storie sussurrate dalle dune di sale, i silenzi carichi di significato. Cercò nei suoni spezzati delle conchiglie le note di un linguaggio comune, un ritmo che potesse unire le due isole.


Finalmente, dopo ore di tentativi, pronunciò tre parole, semplici ma cariche di significato: «Pane, ombra, perdono». Le parole risuonarono nell'aria salmastra, vibrando come note di una melodia ritrovata. I frammenti di conchiglie si unirono in una spirale, creando una conchiglia madreperlacea, calda al tocco, come un cuore pulsante.


«Dentro», disse l'Anguana, la sua voce un sussurro di vento, «una voce che entrambe le isole possono capire». E poi, come un miraggio, scomparve, lasciando dietro di sé una scia di sabbia d'argento, un ricordo luminoso della sua saggezza.


La Terza Prova: Le Due Gigantesse delle Conchiglie e il Canto dell'Unione


 Le Due Gigantesse delle Conchiglie e il Canto dell'Unione
 Le Due Gigantesse delle Conchiglie e il Canto dell'Unione

Asma proseguì il suo viaggio, raggiungendo l'estremità più remota dell'isola, un luogo dove il mare, furioso e indomabile, sembrava parlare solo a se stesso. Lì, tra le scogliere erose dal vento e le onde impetuose, trovò le due Gigantesse delle Conchiglie.


Una sedeva tra conchiglie bianche, levigate dal tempo, e cantava la nascita, la creazione, l'inizio. La sua voce era un canto di speranza, un inno alla vita che sorgeva dal nulla. L'altra sedeva tra conchiglie nere, frantumate e taglienti, e sussurrava la fine, la morte, la distruzione. La sua voce era un lamento di dolore, un requiem per ciò che era stato perduto.


Entrambe gridavano che la propria verità era l'unica, che il proprio canto era l'unico degno di essere ascoltato. Le onde, intrappolate tra le loro voci, si infrangevano con rabbia, come prigioniere di un'eco che non trovava pace. Asma si avvicinò, sentendo le loro urla confonderla, minacciando di sopraffarla. Allora, con un gesto deciso, aprì la conchiglia dell'Anguana.


Un suono nuovo emerse, un canto con due voci intrecciate, un'armonia che nasceva dalla differenza, non dalla separazione. Era il canto del perdono, della comprensione, dell'accettazione. Un suono che riconosceva la bellezza della nascita e la malinconia della fine, la forza della creazione e la fragilità della distruzione.


Le gigantesse tacquero, sorprese da quella nuova melodia. Una tese la mano all'altra, un gesto di riconciliazione. Non dissero nulla, ma iniziarono a raccogliere le conchiglie sparse, disponendole in una lunga collana che univa il bianco e il nero, il principio e la fine, la vita e la morte.


Epilogo


Asma? Nessuno sa davvero dove sia
Asma? Nessuno sa davvero dove sia

Asma tornò indietro, ma non era più la stessa. Non erano solo i suoi passi a camminare, ma tutte le voci che aveva raccolto. Il tamburo, che un tempo taceva come una ferita chiusa male, ora cantava con un ritmo antico e nuovo insieme. Non lo suonava lei: era il cuore del mondo a farlo vibrare.


La bussola spezzata, che un tempo girava a vuoto tra dubbi e nostalgie, si era fiorita in una rosa dei venti – ogni petalo una direzione, ogni direzione una possibilità di riconciliazione.


E quando il suono si levò nell’aria – grave, profondo, come un respiro trattenuto troppo a lungo – le genti delle due isole alzarono lo sguardo. Non per dimenticare, ma per ricordare meglio. Non per cancellare il dolore, ma per accordarsi su una stessa riva di ascolto.


Il mare, che era stato cuore smarrito, tornò a pulsare. Le sue onde danzavano con la luna, come nei giorni in cui il tempo non aveva bisogno di orologi. Il sale tornò a unire invece che ferire. I canti, come barche leggere, attraversavano le acque tra le isole, portando storie, promesse e perdono.


Asma? Nessuno sa davvero dove sia. C’è chi giura di averla vista tra le nebbie delle albe salmastre, che danzava con i piedi nudi sull’acqua. Altri raccontano che abiti dentro una conchiglia d’oro rosato, che si può trovare solo nelle maree rovesciate, quando il cielo si specchia al contrario. Altri ancora dicono che continua a camminare nel mondo, posando tamburi silenziosi davanti alle porte chiuse del cuore umano, attendendo il momento giusto per il primo battito.


Ma tutti, tutti almeno una volta, l'hanno sentita. Nel battito lontano di una risacca. Tum.Tum.Tum. Come un ricordo che torna. Come un cuore che ricomincia.


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SPECIALE LEGA ARABA

A cura di Roberto Roggero, Patrizia Boi

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