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Iran e Palestina - Nel cuore del fuoco

Nel cuore del fuoco: Iran, Palestina e la crisi globale del diritto internazionale


Maddalena Celano (Assadakah News) - Mentre la polveriera mediorientale continua a bruciare, gli equilibri internazionali si spostano: l’Iran rivendica il diritto alla difesa, la Palestina affonda nel silenzio, e gli Stati Uniti rilanciano la dottrina della guerra preventiva.


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Mentre il mondo osserva con crescente apprensione l’ennesima fiammata nel panorama mediorientale, una verità scomoda emerge con forza: non si tratta più soltanto di una guerra tra Stati, ma della crisi profonda dell’ordine internazionale nato nel dopoguerra. Gli attori in campo – Iran, Israele, Palestina e Stati Uniti – rappresentano oggi molto più delle loro agende nazionali. In gioco c’è la sopravvivenza stessa del diritto internazionale, della sovranità e della verità.


Iran: sotto attacco, ma ancora in piedi


Nelle ultime settimane, le forze armate israeliane, con l’appoggio diretto degli Stati Uniti, hanno colpito diversi impianti nucleari iraniani, tra cui quelli di Fordow, Natanz e Isfahan. Le autorità di Teheran, con fermezza e lucidità, hanno denunciato l’aggressione come “atto di guerra” e hanno chiesto l’intervento del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il ministro degli Esteri Amir-Abdollahian ha parlato di “violazione flagrante della Carta delle Nazioni Unite”, chiedendo non solo una condanna, ma anche risarcimenti e un’indagine indipendente.

Eppure, in Occidente il gesto iraniano di voler ricostruire il proprio programma nucleare, già previsto dal Trattato di Non Proliferazione (TNP) per scopi civili, viene letto come minaccia. Le agenzie di stampa occidentali rilanciano l’idea che l’Iran sia “vicino alla bomba”, alimentando una narrativa emergenziale che giustifica la guerra preventiva, con rischi incalcolabili.


Palestina: il dolore dimenticato


Nel frattempo, l’agonia palestinese continua. Le truppe israeliane hanno intensificato le incursioni in Cisgiordania, con arresti arbitrari, raid notturni e blocchi militari diffusi. A Gaza Est, le forze israeliane hanno lanciato un’offensiva massiccia che ha spinto decine di migliaia di civili a fuggire verso la già sovraffollata al-Mawasi.

Secondo fonti palestinesi, il bilancio parla di centinaia di morti, tra cui moltissimi minori. Eppure, la guerra tra Iran e Israele ha monopolizzato la copertura mediatica globale, relegando la crisi umanitaria palestinese a note a piè di pagina. Nonostante ciò, la società civile palestinese continua a resistere, con un coraggio che meriterebbe ben altra attenzione.


Stati Uniti: il ritorno della guerra preventiva


Il ruolo degli Stati Uniti è tutt’altro che marginale. Secondo quanto riportato da The Wall Street Journal, è stato il senatore repubblicano Lindsey Graham a convincere Donald Trump – tornato alla presidenza – a lanciare gli attacchi contro l’Iran, presentandoli come “colpo chirurgico per la sicurezza dell’Occidente”. Il Congresso ha respinto ogni tentativo di limitare il potere esecutivo sull’uso della forza militare, permettendo alla Casa Bianca di operare senza alcuna forma di controllo parlamentare.

La posizione statunitense è tornata esplicitamente interventista: “difendere Israele è difendere l’America”, ha dichiarato lo stesso Trump. Ma a quale prezzo? In un’epoca in cui l’ONU è sempre più marginalizzata, e in cui la Corte Penale Internazionale viene ignorata dai grandi attori, il messaggio implicito è chiaro: chi è forte detta le regole.


Israele: l’unilateralismo armato


Dal canto suo, il governo israeliano guidato da Benjamin Netanyahu si è spinto oltre ogni equilibrio. Mentre i bombardamenti su Gaza e le operazioni in Cisgiordania continuano, Tel Aviv ha giustificato gli attacchi preventivi contro l’Iran come “difesa esistenziale”. Tuttavia, secondo il diritto internazionale, la legittima difesa prevede un attacco “imminente e certo”. Dov’è la prova?

I silenzi della comunità internazionale e l'appoggio incondizionato da parte di Washington danno carta bianca a Israele. Ma proprio questa impunità rischia di rafforzare l’Iran come attore regionale capace di parlare, oggi, a nome di una larga parte del Sud Globale che si riconosce nelle sue denunce.


🔍 Una battaglia di legittimità, non solo di potere


Quello che accade oggi non è semplicemente una crisi regionale. È la messa in discussione delle regole condivise del sistema internazionale. L’Iran, pur sotto pressione e sotto attacco, cerca di riportare il dibattito sul piano del diritto e della diplomazia multilaterale. La Palestina continua a pagare il prezzo più alto, nell’indifferenza generale. E gli Stati Uniti rilanciano una visione unipolare che ignora il principio di sovranità.

Se la causa degli algerini fu – come scrisse Sartre – la causa di tutti gli uomini liberi, la causa di chi oggi chiede giustizia, diritto alla difesa e rispetto per le vite umane, non può che appartenere a chiunque creda ancora in un mondo fondato sulla legalità e non sulla forza.

“Non è l’arma nucleare iraniana che minaccia il mondo, ma l’idea che il diritto possa essere bombardato a piacere.”— Editoriale, Tehran Times, 28 giugno 2025.


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