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Tunisia - La Luce Nascosta, Nour e il Dromedario Zarif

  • 5 ore fa
  • Tempo di lettura: 11 min

Patrizia Boi (Assadakah News) -  Rubrica Culturale "Le Mille e Una Fiaba" - I Favolosi Paesi della Lega Araba


Capitolo 20 TUNISIA - La Luce Nascosta, Nour e il Dromedario Zarif


Nour e il Dromedario Zarif
Nour e il Dromedario Zarif

C’era una volta, in un piccolo villaggio accarezzato dal vento del sud, una bambina nata con il nome di Nour, che in arabo significa luce. Ma la luce, lei, non l’aveva mai vista. Era nata cieca, eppure, si diceva che nei suoi occhi chiusi brillasse un frammento del cielo notturno. La sua voce era lieve come il canto delle lanterne al tramonto, e le sue mani sapevano leggere i segreti nascosti nelle ceramiche blu che il nonno modellava ogni giorno.


La gente la amava, ma qualcuno sussurrava che Nour fosse diversa, toccata dagli Spiriti dell'Acqua, e che un destino antico la attendesse. Lei sorrideva, e ascoltava. Ascoltava tutto. Anche ciò che gli altri non dicevano.


Ogni sera la nonna, la Vecchia del Deserto, narrava storie attorno a un fuoco intagliato d’ombre. E in una di quelle notti, sotto una luna piena grande come un tamburo, raccontò della Fonte delle Visioni, un luogo nascosto tra le sabbie e custodito da un Olivo millenario. Si diceva che chi fosse destinato a vederlo, avrebbe riacquistato la vista… ma solo se il suo cuore fosse stato più limpido del cielo d’autunno.


Fu proprio quella notte che Nour fece un sogno. Vide la Fonte. Vide l’Olivo. E vide una figura incappucciata, l'Oscura Tessitrice, un essere antico che rubava la vista ai bambini per imprigionarla nelle sue lanterne. Al risveglio, qualcosa era cambiato. Il villaggio era immerso in un silenzio sospetto. Il fuoco si era spento, la nonna non cantava più.


La voce del vento parlò. Disse che l’equilibrio era stato spezzato: l’Oscura Tessitrice aveva liberato le sue ombre, e una maledizione stava calando sulla terra. Solo una bambina dal nome di luce poteva attraversare un territorio accidentato, affrontare le tre prove, e giungere alla Fonte. E così iniziò il viaggio.


Nour non era sola. La nonna le lasciò un dono: una lanterna rotta, ma dentro la quale si agitavano ancora frammenti di sogno. E accanto a lei partì anche un compagno inaspettato: Zarif, un giovane dromedario blu, un po’ goffo, ma saggio e ironico, che conosceva ogni canto beduino e parlava solo per proverbi, Zarif, il Dromedario Parlante.


Camminarono per giorni, tra miraggi che danzavano e dune che si muovevano come onde. Finché un profumo diverso si sollevò nell’aria: profumo di radici, di pioggia dimenticata, di memoria.


Prima Prova – L’Olivo Millenario e la Fonte delle Visioni


Prima Prova – L’Olivo Millenario e la Fonte delle Visioni
Prima Prova – L’Olivo Millenario e la Fonte delle Visioni

Camminarono finché i piedi di Nour non impararono a riconoscere le pietre come lettere di un alfabeto segreto, e il vento non prese a raccontare storie più antiche del villaggio stesso. Zarif camminava accanto a lei, e ogni volta che lei esitava, lui borbottava uno dei suoi proverbi:


«Chi ha luce nel cuore non ha paura del buio».


Oppure:


«L’acqua trova sempre la sua strada, anche sotto la roccia».


Una sera il cielo divenne color zafferano, e l’aria si fece densa di promesse. Zarif si fermò, e con tono più serio del solito disse:


«Siamo vicini. Il respiro della terra cambia quando l’Olivo si avvicina».


Ed era vero. Nour sentiva un tremolio sotto la pelle, un’eco che non veniva da fuori, ma da dentro. Avanzarono fino a una stretta gola di pietra color ambra. E lì, tra le rocce, nascosto a occhi che non sanno cercare, l’Olivo Millenario si aprì come un sogno: immenso, contorto, le sue radici affondavano nella roccia e il tronco era screziato di oro e sale. I rami si estendevano come braccia in preghiera, e dalle foglie gocciolava una linfa chiara che non era né resina né rugiada. Attorno, il silenzio era vivo.


Ma la Fonte delle Visioni non si mostrava. Era lì, eppure non si vedeva. Nour si avvicinò, guidata da un canto che non era canto, ma vibrazione. Posò la lanterna rotta ai piedi dell’albero, e la luce al suo interno – quella dei frammenti di sogno – tremolò, cercando una via.


Una voce si alzò, grave e antica, venuta dall’albero stesso, o forse dalla terra:


«Per entrare nella Fonte, devi donare ciò che non hai mai avuto».


Nour rimase in silenzio. Cos’era che non aveva mai avuto? La vista? Il tempo? La libertà? Il padre? L’infanzia normale?


Poi comprese: la paura. Lei non aveva mai avuto paura. Nemmeno da bambina. Perché, non vedendo il mondo, lo immaginava bellissimo. Ma ora, in quel luogo di mistero, la paura si fece presente: e se non fosse mai riuscita a vedere? Se tutto fosse solo un’illusione? Se la Fonte fosse un inganno?


Fu in quel momento che apparve la prima Ombra della Tessitrice: una figura nera, fatta di fili intrecciati, fluttuante tra i rami. Aveva un volto coperto da un velo di seta blu, e portava in mano una piccola lanterna vuota.


«Dammi la tua lanterna», disse, «ti darò in cambio la vista. Immediata. Niente prove, niente dolore».


Ma Nour riconobbe il suo odore: era l’odore del buio falso, quello che promette luce ma spegne il cuore. Stringendo forte la lanterna donata dalla nonna, rispose:


«Non voglio vedere con gli occhi, voglio ricordare con il cuore».


E con quel rifiuto, la Prima Ombra si dissolse come sabbia nel vento. L’Olivo tremò. Un ramo si abbassò lentamente, sfiorando la lanterna. Un frammento di luce pura, come goccia d’alba, vi scese dentro.


Allora si aprì un varco tra le radici: una scalinata invisibile a chi guarda, ma chiara a chi ascolta. Nour la sentì come una melodia sotto i piedi. Zarif le fece l’inchino con il muso:


«Chi non ha paura di scendere, è già salito più in alto di tutti».


Discesero. E nel cuore della collina, tra luci che sussurravano e rocce trasparenti, Nour trovò la Fonte. Ma l’acqua era opaca, muta, immobile.


«La Fonte ha bisogno del tuo primo sogno».


Le disse la Voce.


«Quello che hai dimenticato».


E allora Nour cantò. Cantò il sogno della bambina che correva senza paura su una spiaggia che non aveva mai visto, danzava con il mare e rideva sotto un cielo senza confini. Lo donò all’acqua.


E l’acqua si accese. Non nei suoi occhi, ma nella lanterna. Ora non era più rotta. Dentro, brillava la prima visione: una farfalla azzurra che mostrava la via verso la seconda prova. Nour non riacquistò ancora la vista, ma quando lasciò la grotta, qualcosa in lei aveva cominciato a vedere: non con gli occhi, ma con l’anima intera, che ora brillava come la lanterna nelle sue mani.


Seconda Prova – Il Golfo delle Anfore Sospese


Laggiù, nascosto tra il fruscio delle onde e il battito del cielo, si trovava il Golfo delle Anfore Sospese, un’insenatura segreta che appariva solo a chi portava la luce della prima visione
Laggiù, nascosto tra il fruscio delle onde e il battito del cielo, si trovava il Golfo delle Anfore Sospese, un’insenatura segreta che appariva solo a chi portava la luce della prima visione

Guidati dalla farfalla azzurra che ora abitava la lanterna, Nour e Zarif proseguirono il cammino. Ma il paesaggio mutava lentamente, come se la terra stessa volesse cambiare pelle. Comparvero le dune rosse che pian piano si assottigliarono, i venti si fecero umidi e salmastri, e l’aria odorava di conchiglie rotte, alghe antiche, e pioggia sul ferro smaltato.


Zarif alzò il muso e disse:


«Quando il mare respira, le memorie si svegliano. Ma attenta, Nour: alcune parlano troppo, altre mentono in silenzio».


Il sentiero li portò fino a una scogliera d’argilla color crema, liscia come porcellana, scolpita dal tempo e dai venti. Laggiù, nascosto tra il fruscio delle onde e il battito del cielo, si trovava il Golfo delle Anfore Sospese, un’insenatura segreta che appariva solo a chi portava la luce della prima visione.


Quando Nour sollevò la lanterna, una fitta nebbia si ritirò, come se respirasse, e il Golfo si svelò: uno specchio d’acqua immobile come vetro, e sopra – o forse sospese nell’aria – centinaia di ceramiche blu e bianche fluttuavano, leggere come piume e pesanti come ricordi.

Erano piatti, ciotole, anfore, coppe, tutte modellate come quelle del nonno, tutte ornate di motivi berberi, stelle, mani aperte, occhi chiusi, tutte vibranti di memoria viva.


Ma non erano oggetti inerti. Erano talismani, guardiani, messaggeri. Ognuno conteneva una voce, una visione, un frammento del mondo spezzato.


Una voce femminile, misteriosa e calma, risuonò come da dentro l’acqua:


«Scegline uno solo, Nour. Ma ascolta bene: alcuni sussurrano la verità, altri ti condurranno al naufragio».


Nel riflesso delle ceramiche, Nour percepì movimenti. Tra le forme galleggianti si aggirava un essere composto di coralli neri e sabbia bagnata: Al-Harith, il Custode delle Correnti Sepolte. I suoi occhi erano due ostriche chiuse, e la sua voce gorgogliava come marea arrabbiata:


«Chi osa toccare le memorie del mare? Chi porta lanterne dove dovrebbero esserci abissi?»


Zarif sussurrò:


«Nour, tocca con rispetto. E con tutto il tuo silenzio».


La fanciulla alzò le mani. Una a una, sfiorò le ceramiche. Ogni oggetto parlava.


– Un piatto recitava una filastrocca infantile, spezzata.– Un’anfora piangeva con voce maschile, una partenza non voluta.– Una ciotola cantava. Cantava una nenia antica, la voce della nonna quand’era bambina, in un dialetto perso, dove si narrava di un Tempio Invisibile nascosto sotto le radici del mondo. Quella era la sua.


La afferrò, e la luce della lanterna penetrò nella ceramica, facendone vibrare gli smalti. I disegni si animarono: mani che danzavano, stelle che ruotavano, un occhio che pianse e poi rise. Ma Al-Harith si risvegliò del tutto, agitò le sue braccia fatte di reti, e dalle profondità emersero pesci senza pupille, alghe con dita, sussurri che volevano entrare nella mente.


«Non si toccano i sogni se non si è pronti a svegliarsi!»


Ma Nour, tenendo stretta la ceramica, pronunciò parole che non sapeva di sapere:


«Non rubo. Ascolto. Non possiedo. Ricordo».


E con quell’incanto, l’anfora si spezzò con dolcezza. Non cadde, si trasformò. Da essa uscì un filo liquido, lucente come pioggia nel sole. Si arrotolò danzando tra le sue mani, diventando una chiave sottile, fatta di acqua e memoria. La seconda chiave era sua.


Zarif rise, sollevando il muso:


«Ogni piatto parla, ma non tutti cantano. Tu hai trovato la melodia».


E la lanterna ora conteneva un nuovo sogno: una scala fatta di ombre e radici, che scendeva verso un luogo nascosto al centro della terra.


Terza Prova – Il Tempio Invisibile e la Tessitrice d’Ombre


L'Oscura Tessitrice nel Tempio Invisibile
L'Oscura Tessitrice nel Tempio Invisibile

Il sentiero si fece sempre più silenzioso. Non c’erano più canti del vento né profumo di mare. C’erano solo echi lontani e un odore di radici bagnate, come se stessero entrando nella pelle della terra.


Zarif smise di parlare in proverbi. Camminava accanto a Nour con passo lento e solenne. La lanterna, stretta tra le mani della bambina, brillava ora di una luce quieta, azzurra e dorata, come se contenesse una stella addormentata e un lago che sognava.


Il sentiero terminò in un piccolo bosco nascosto, dove gli alberi erano ciechi anch’essi: tronchi lisci, foglie trasparenti, e nessun colore se non sfumature d’ombra. Al centro, le radici si aprivano come dita, e una fenditura scendeva giù, verso l’ignoto.


Nour si inginocchiò. La lanterna tremò. E i sogni custoditi dentro – l’ulivo e la ceramica – si fusero in un’unica forma: una chiave fatta di luce, d’acqua e di memoria. La inserì nella fessura. E il mondo cambiò. Non con un rumore. Ma con un respiro. Il terreno si aprì con dolcezza. E Nour e Zarif si trovarono in un luogo che non esisteva per gli occhi, ma solo per chi sapeva ascoltare la luce.


Era il Tempio Invisibile. Non aveva mura né colonne. Solo veli d’aria sospesi, onde di suoni, sussurri di tessuti che danzavano da soli. Ogni passo produceva un’eco colorata, ogni respiro disegnava un simbolo che svaniva nell’aria. E al centro, su un trono di silenzio, sedeva l’Oscura Tessitrice.


Era avvolta in veli di ombra, e la sua voce era fatta di mille voci, rubate, spezzate, consumate.


«Nour… fanciulla dagli occhi chiusi che vedono più di tutti… sei giunta fin qui, ma non per guarire. Sei venuta per scegliere».


Intorno alla Tessitrice, galleggiavano lanterne nere, ognuna con dentro una vista rubata. Alcune ancora brillavano. Altre si erano spente per sempre.


«Io non rubo per crudeltà. Io custodisco. Il mondo è troppo pieno di dolore per chi vede tutto. Restare ciechi è, a volte, un dono».


Zarif sussurrò:


«La verità è un abito: chi non sa portarlo, ne resta ferito».


La Tessitrice tese la mano.


«Vuoi la tua vista, Nour? La vera vista? Devi offrire in cambio un frammento di ciò che sei».


Nour tremò. Ma non per paura. Capì. Capì che la vista non era negli occhi. Era nell’ascolto, nella memoria, nella luce nascosta nei gesti e nei sogni. E allora alzò la lanterna e pronunciò parole che le vennero da un luogo antico:


«Non voglio vedere. Voglio continuare a sentire. Ma voglio che gli altri vedano. Restituisci la vista ai sogni del mondo. Tieni i miei occhi, se vuoi. Ma libera le lanterne».


La Tessitrice restò in silenzio. Poi… rise. Una risata come vento tra le corde.


«Hai tessuto il tuo destino con fili di saggezza, piccola luce».


E sciolse il primo velo. E poi il secondo. E poi il terzo. Finché non restò nulla. Al suo posto, solo una seta sottile, trasparente, che si arrotolò nella lanterna e la fece brillare più di tutte le stelle. E fu allora che Nourvide.


Non con gli occhi. Ma con l’essere. Vide le forme dei suoni, le carezze del tempo, i respiri degli alberi, i colori nascosti tra le parole non dette. Zarif, con una lacrima che non seppe spiegare, disse solo:


«Chi vede con il cuore non ha bisogno di chiedere più nulla».


E il Tempio si chiuse. O forse, si aprì per sempre.


Epilogo – Il ritorno della Luce


Nour e Zarif nel villaggio con la loro luce interiore ritrovata
Nour e Zarif nel villaggio con la loro luce interiore ritrovata

Il viaggio era compiuto. Nour aveva attraversato il canto delle radici, l’acqua dei ricordi, il vuoto della menzogna e l’eco della verità. Ora camminava con passo quieto accanto a Zarif, che taceva, come fanno i saggi quando il mondo si è già detto da solo.


Giunsero al limite del villaggio al tramonto. Il cielo, stanco del giorno, si adagiava tra il rosa e l’oro. Nour sentì il profumo del vento che conosceva fin da bambina, udì le voci lontane delle donne che accendevano il fuoco, e il crepitare della legna sembrava una preghiera sommessa. Fu allora che accadde.


Una luce sottile – non del sole, non della lanterna – ma qualcosa di diverso, più antico, più tenero, si posò sulle sue ciglia. Nour, che non aveva mai visto il mondo, vide. Ma non come ci si aspetta. Vide come chi finalmente ricorda, non come chi scopre. Ogni cosa era già dentro di lei: i colori, le forme, il cielo. Come se la sua anima avesse tessuto per anni un arazzo in silenzio, e solo ora avesse deciso di mostrarle il disegno.


Pianse. Pianse nel modo in cui si piange quando non ci sono più domande. Fu allora che Zarif si voltò verso di lei. I suoi grandi occhi, che da sempre parlavano con voce di vento, si velarono per un attimo di luce. Il suo corpo cominciò a mutare. La pelle, come sabbia che scivola via, lasciò spazio a una figura umana, slanciata e armoniosa, con lo stesso sguardo profondo e sereno del dromedario che l’aveva guidata nel viaggio.


Anche lui era stato prigioniero di un incantesimo, condannato a vagare tra le sabbie finché qualcuno non avesse visto con il cuore prima ancora che con gli occhi. Nour lo aveva liberato. E lui le era grato. Le loro vite, ora, si intrecciavano come fili di un tessuto sacro: la delicatezza e il coraggio di Nour, la memoria e la saggezza di Zarif. Insieme, avrebbero camminato ancora, non per fuggire o cercare, ma per incontrare.


La Vecchia del Deserto li attendeva, seduta come sempre. Aveva negli occhi la sabbia e le stagioni. Non disse nulla. Le prese le mani e, posandole sulle palpebre aperte, mormorò parole antiche come la notte. Poi rise, con quella risata che sa di vento e di amore.


«Benvenuti, miei figli. Quando due cuori vedono lo stesso cielo, il mondo può guarire un poco».


E da quel giorno, ogni notte, Nour accendeva la lanterna. Non perché ne avesse bisogno. Ma perché ogni luce, anche la più piccola, può aiutare chi ancora non vede. Zarif le stava accanto, come un sogno che ha trovato casa.


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SPECIALE LEGA ARABA

A cura di Roberto Roggero, Patrizia Boi, Maddalena Celano

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